LUCA GUADAGNINO, NON POTEVA ESSERCI AUTORE MIGLIORE PER UNA SERIE COME WE ARE WHO WE ARE

Abituato a ragionare al di fuori delle convenzioni e dei luoghi comuni, Guadagnino è certamente il regista più adatto a portare sullo schermo l’invito ad essere quelli che siamo, senza darci dei limiti, e senza permettere che i limiti ci vengano imposti dall’esterno. La serie Sky Original sarà disponibile dal 9 ottobre su Sky e in streaming su NOW TV.

Paola Casella, martedì 6 ottobre 2020 - Sky

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Luca Guadagnino (53 anni) 10 agosto 1971, Palermo (Italia) - Leone. Regista del film We Are Who We Are.

Non poteva che essere Luca Guadagnino a creare una serie televisiva come We Are Who We Are, un microcosmo dilatato e straniante che non è Italia e non è America, ma un modo mai binario di esplorare la confusione adolescenziale e le sue regole dell’attrazione: perché, come scriveva Walt Whitman, “La materia non attira, bramandola, tutta la materia?”. Luca Guadagnino, per citare un’altra frase tratta dalla serie, è “un tetto con tante antenne” sintonizzate sulla contemporaneità e sa osservare (e restituire) il qui ed ora e il sentire attuale (ma immortale) dei più giovani. E non ci poteva essere autore più adatto a portare sullo schermo l’invito del titolo all’essere semplicemente quelli che siamo, senza darci dei limiti, e senza permettere che i limiti ci vengano imposti dall’esterno.

Luca Guadagnino è sempre stato esattamente ciò che voleva essere, fin da quando, studente di cinema alla Sapienza di Roma, aveva già una sua visione unica e precisa. Si era già trasferito da un mondo all’altro – nel suo caso da Palermo, dove è nato da padre italiano e madre algerina, all’Etiopia – e ritorno, e da subito si è mosso ad un livello superiore rispetto alle ristrettezze del cinema giovane italiano: il suo primo lungometraggio, The Protagonists, è andato dritto dritto alla Mostra del Cinema di Venezia; il secondo, Mundo Civilizado, al Festival di Locarno. Un respiro internazionale che l’ha fatto apprezzare prima all’estero che in Italia, dove il suo adattamento del best seller "100 colpi di spazzola prima di andare a dormire", intitolato come la sua autrice, Melissa P., è stato accolto da certa critica con stizzita derisione.

Il grande salto è avvenuto con Io sono l’amore, di cui si sono innamorati oltreoceano e oltralpe, e che rende noto al mondo il legame artistico fra Guadagnino alla sua musa Tilda Swinton. A Bigger Splash, in concorso a Venezia, ha avuto meno fortuna, malgrado Tilda Swinton brillasse ancora al centro della storia, ma con Chiamami col tuo nome Guadagnino entra definitivamente nell’olimpo dei pochissimi registi italiani contemporanei di fama internazionale, e gareggia da pari nella corsa agli Oscar, vincendo quello per la Miglior Sceneggiatura Non Originale. È qui che le tematiche care al regista salgono prepotentemente alla ribalta: in particolare la formazione di un’identità di genere, sessuale e sensuale, e la volontà di trovare il proprio posto in un mondo in cui ci si vive come corpi estranei.

Guadagnino ragiona al di fuori delle convenzioni e dei luoghi comuni, inventa universi bucolici e ultraurbani, arcaici e postmoderni. Anche i suoi remake – quello realizzato di Suspiria di Dario Argento, quello annunciato di Scarface di Brian De Palma – sono intesi come reinvenzioni di mondi attraverso la visione lirica e poetica di un autore imbevuto della sua italianità ma completamente aperto alle influenze artistiche internazionali: in We Are Who We Are Guadagnino fa surfing fra musicisti come Devonté Hynes (alias Blood Orange) e Klaus Nomi, stilisti come Demna Gvasalia e Raf Simons, poeti come Walt Whitman e Ocean Vuong, registi come Lynch e Bertolucci.

Ma è soprattutto la corrispondenza interiore alla sua sensibilità personale e artistica a fare di lui il regista ideale per We Are Who We Are, caleidoscopica ricerca identitaria di genere, certo, ma anche nazionale, politica, religiosa, sessuale, familiare, intellettuale.

La serie prodotta da Sky-HBO è un cavallo di troia nel perbenismo mondiale, un elefante pronto a piazzarsi nel salotto di casa per ricordarci che a nessuno basta un’unica percezione di sé. E l’acronimo WAWWA sembra fatto apposta per rispedire al mittente gli insulti di chi invece vuole dirci come dovremmo vivere la nostra vita, riducendola ad una sola dimensione.

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