TEMPI MODERNI, UN CANTO D'AMORE PER IL CINEMA MUTO

La Cineteca di Bologna porta nella Sala virtuale di MYmovies fino al 4 maggio la versione restaurata del capolavoro immortale di Charlie Chaplin. Acquista - €3,00. 

Marzia Gandolfi, sabato 2 maggio 2020 - mymovieslive
Charles Chaplin (Charles Spencer Chaplin) Altri nomi: (Charlie Chaplin, Charlot) 16 aprile 1889, Londra (Gran Bretagna) - 25 Dicembre 1977, Vevey (Svizzera). Interpreta L'operaio nel film di Charles Chaplin Tempi moderni.

Nella prima sequenza di Tempi moderni un gregge di pecore si alterna a una massa di operai emersi dalla metropolitana e diretti in fabbrica. Nel gregge si distingue la "pecora nera", l’operaio fatale che guasterà tutto. Tempi moderni di Charlie Chaplin è l’elogio della pecora nera, simbolo della differenza e del ruolo che giocherà all’interno della fabbrica. Proiettato nel mondo moderno, Charlot va a sbattere costantemente contro le strutture della vita sociale, rigidamente inquadrata dalle forze dell’ordine e del padronato. È il sassolino nell’ingranaggio di una macchina che non ha più bisogno di lui per funzionare ma a cui la spontaneità della sua risata provocherà un arresto.

Realizzato durante la Grande Depressione, Tempi moderni mostra un’America tra disperazione e determinazione, dove tutto è precario e niente è scontato. Il film è decisamente politico è contribuirà non poco alla reputazione di ‘comunista’ del suo autore, reputazione che non riposa però su un’analisi corretta. Tempi moderni è un attacco frontale al sistema economico capitalista ma la sua esaltazione della libertà individuale non si accorda col comunismo politico. A un primo sguardo, appare come una parodia del fordismo, una nuova modalità di produzione inventata da Henry Ford e fondata sulla specializzazione e la divisione dei compiti per aumentare la produttività dei lavoratori. 
 

Ma il film non ha tanto una portata economica quanto un obiettivo sociale: la difesa dell’uomo in quanto uomo. Chaplin denuncia l’alienazione, riprendendo una tematica cara a Karl Marx, ma non predica il socialismo, non disegna soluzioni sociali. 
Marzia Gandolfi

Chaplin si interessa poco a quelli che rivendicano, i manifestanti sono trattati come una folla violenta e scomposta di fronte alla quale lo stesso Charlot è in pericolo. Sulla lotta di classe, altro tema marxiano materializzato da Chaplin in maniera brutale, gli operai in fondo alla catena e il padrone in cima, il film indica ‘i ricchi e i poveri’ come vittime dello stesso sistema, il direttore del resto prende delle pillole per reggere la pressione della sua condizione. Chaplin non ha letture ideologiche, disegna la società per quella che è, un contesto difficile dove qualche volta emergono elementi di speranza. Non tace le relazioni conflittuali tra gli operai a dispetto della solidarietà proletaria predicata dalla dottrina marxista. Charlot è isolato dagli altri lavoratori e considerato addirittura un intruso. Anche in prigione, tra detenuti, non c’è nessuna complicità, al contrario è una lotta costante per tutto, per un po’ di posto in cella, per un po’ di pane in refettorio.

Ma Chaplin con Tempi moderni va più lontano. Senza dubbio il film ‘più perfetto’ del suo autore, Tempi moderni si è guadagnato l’eternità e l’ammirazione delle generazioni, sfidando la sua epoca e i suoi modelli. Come Charlot, Chaplin utilizza il contesto per darsi uno scopo personale. Refrattario al ‘cinema parlato’, ha prolungato la pratica del cinema muto al di là del ragionevole. Solo contro tutti, ha risposto ai dialoghi con gli effetti sonori, ai discorsi con la musica. È significativo che i primi suoni emessi dalla bocca di Charlot si rivelino un insieme incomprensibile di espressioni onomatopeiche.

Espressioni che sostituiscono le parole di una canzone da cabaret impossibile da memorizzare. Universale, il cinema di Chaplin rifiuta il doppiaggio o il sottotitolo, rifiuta di sottomettersi a tecniche colpevoli di creare una distanza tra il film e il pubblico del pianeta intero. Al debutto del film Charlot non parla, solo il padrone della fabbrica ha il diritto di esprimersi verbalmente e solamente attraverso uno schermo. Le rare parole del film saranno filtrate da macchine: uno schermo televisivo o di sorveglianza, un disco o una radio. La voce (meccanica) non è che un ‘effetto’ (sonoro) comico tra gli altri. Ma alla fine del film Charlot è costretto a parlare perché è stato assunto come cameriere a condizione che canti. E a questo punto la storia fa eco alla realtà: l’attesa dello spettatore è immensa, la pressione dell’industria cinematografica significativa. 

Il muto è diventato anacronistico da quasi un decennio e tutti sono impazienti di sentire la voce di Charlot. Ma il pubblico sa già che la carriera di numerosi attori si è infranta contro i microfoni perché le loro voci non corrispondevano al loro fisico o a quello che lo spettatore immaginava. Lo sa molto bene anche Chaplin che decide per questo di ricorrere a un piccolo stratagemma. Quando arriva il turno di Charlot di cantare, il vagabondo dimentica le parole, che fa scrivere dalla monella sui suoi polsini ma che poi perde malauguratamente. Con un’abile pirouette, mescola sonorità italiane e francesi che gli permettono di non piegarsi al linguaggio articolato. Charlot salva la serata restando fedele alla condotta che si è imposto: rifiutare la parola. La parola è inutile, l’immagine basta a se stessa. E ha ragione lui. Il pubblico non comprende niente dei versi cantati da Charlot ma ride dei suoi gesti. Il cinema muto nella sua eccezione più pura non è che immagine, la parola non è che un ostacolo al senso e al sentimento. 

Tempi moderni registra la prima voce di Charlot e la sua ultima apparizione sullo schermo. Nel film seguente, Il grande dittatore, l’ora è grave e Chaplin non potrà più tacere. Regolerà allora in maniera eclatante i suoi conti con quell’usurpatore di Hitler, che gli ha rubato i baffi a pennello per farne, nel decennio a venire, il simbolo del male assoluto. Immaginate Hitler sosia di un ebreo ma Chaplin non gioca più, si toglie la maschera e si rivolge direttamente ai suoi spettatori. Guardando in camera lascia andare per sempre il suo vagabondo. Il trucco si scioglie, rivelando capelli bianchi e baffi mai così finti.

Charlot è uscito di scena, Hitler ha ucciso Charlot o magari è l’inverso. Una cosa è certa, gli orrori del nazismo hanno reso l’innocenza del cinema muto e di Charlot, personaggio pre-linguistico e infantile, obsoleta. Tempi moderni è allora l’ultima volta in cui lo vediamo, l’ultima volta in cui il vagabondo maldestro dal cuore d’oro è l’eroe. Charlot parte con un largo sorriso e una compagna al braccio, verso una speranza fragile, dentro un ultimo piano e l’ultimo grande film del cinema muto. Un ‘falso film muto’ che inceppa con un gesto poetico il motore di un irrimediabile progresso.

Charlie Chaplin in Tempi moderni
In foto una scena di Tempi moderni
In foto una scena di Tempi moderni.
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