1917: UN PIANO SEQUENZA SOFFOCANTE CHE DICE TANTO SULL’OGGI

Un eterno presente per interrogarsi incessantemente sull'assurdità del male. Al cinema.

Ramon Guevara, Vincitore del Premio Scrivere di Cinema, venerdì 31 gennaio 2020 - Scrivere di Cinema

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L'ultima fatica del regista britannico Sam Mendes, 1917 (guarda la video recensione), è uno sguardo fisso sull'orrore della guerra; molto si è detto della sua scelta di girare il film come un unico piano-sequenza, senza cioè che alcun intervento di editing si frapponga tra l'occhio dello spettatore e il teatro di azione, di violenza, che si dispiega nelle due ore di film; nessun taglio, nessuna apparente intromissione registica rimescola i fatti, così la realtà impressa nell'immagine ci viene restituita in una sorta di continuità temporale.

La sovrapposizione tra spettatore, regista e personaggi risulta di una concretezza quasi soffocante.
Ramon Guevara, Vincitore del Premio Scrivere di Cinema

Mentre la cinepresa segue l'avanzata instancabile dei soldati senza apparenti tagli di montaggio, nelle trincee, nei ruderi di campagna, nei paesaggi scarnificati dalla guerra, l'impressione è che lo sguardo sia prigioniero dello scorrere incessante, rapido del tempo. "Il vero nemico" recita la locandina del film "è il tempo".

Se da un lato questo dà una fortissima illusione di realtà, avvicinando pericolosamente lo spettatore alla materia ripresa, la scelta di Sam Mendes non vuole essere prerogativa di una rappresentazione "oggettiva" dei fatti. Così come negli anni Sessanta avevano fatto alcuni grandi nomi della Nouvelle Vague, Sam Mendes utilizza il piano-sequenza come strumento di una grammatica cinematografica che apertamente privilegia la soggettività del racconto.
L'abile uso della cinepresa, le inquadrature che talvolta inseguono i personaggi e talvolta si lasciano inseguire, rivendicano una personalissima cifra estetica (soprattutto nella prima metà del film), che sebbene non frantumi la fabula per riordinare gli eventi secondo necessità drammatiche, si serve delle angolazioni, degli effetti speciali e di una peculiare attenzione ai ritmi narrativi.

Nel concitato susseguirsi di eventi, il suo personale intento sembra svelare l'insensatezza, l'inspiegabile assurdità del male e il piano-sequenza è lo strumento ideale per farlo. È il peso dello scorrere continuo, instancabile, del tempo a immerge lo spettatore in una condizione di eterno presente. Poco spazio rimane per il passato dei protagonisti, la dimensione del ricordo si assottiglia di fronte alla carica distruttrice della violenza che invade l'oggi.

Risulta vano -per quanto urgente visto il grado di coinvolgimento- il tentativo di indagare le cause, di comprendere l'origine del male. Tutte le possibili spiegazioni sono state sabotate in partenza dal fluire incalzante del tempo, dove la violenza della guerra declinata al presente annulla ogni cosa al di fuori di essa. E non stupisce che non entrino nell'orizzonte dello spettatore la Storia, la politica, le dinamiche che dall'alto della loro apparente indifferenza muovono gli eserciti: la loro distanza, l'estraneità alla vicenda, sembra dire che mai potrebbero inserirsi veramente nel dramma personale di un soldato, anche solo per tentare di spiegare le ragioni di una simile carneficina. Rimangono, inesorabilmente, fuori campo.

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