VIA COL VENTO COMPIE OTTANT'ANNI: È SEMPRE IL FILM DEI FILM

Come alcuni grandi titoli del cinema, e forse più di tutti, Via col vento è un vecchio amico, una cara abitudine.

Pino Farinotti, lunedì 16 dicembre 2019 - Focus
Vivien Leigh (Vivian Mary Hartley) 5 novembre 1913, Darjeeling (India) - 7 Luglio 1967, Londra (Gran Bretagna). Interpreta Rossella O'Hara (Scarlett O'Hara) nel film di Victor Fleming, George Cukor, Sam Wood Via col vento.

Il compleanno è certo importante. Alla prima del film in Atlanta c’erano alcuni decrepiti reduci della guerra civile. In questi giorni a festeggiare c’è Olivia De Havilland, 103 anni,  unica reduce di quel cast.

Un promemoria di quella leggenda. Rossella O’Hara è innamorata di Ashley che sposa Melania. Crederà di amarlo per tutta la vita. Nel frattempo si sposa tre volte. L’ultimo marito è Rhett Butler (Gable). La loro vita è inquinata dal fantomatico amore di lei per l’altro. Quando muore Melania e Ashley sarebbe libero, Rossella si rende conto che l’uomo non significa niente per lei, che è stata vittima di un colossale abbaglio, che il suo vero amore è il marito. Lo rincorre e glielo dice, ma Rhett non le crede, ormai è troppo tardi. «Che ne sarà di me?», domanda Rossella piangente. «Francamente me ne infischio», dice Rhett uscendo nella nebbia. Nel frattempo c’è stata la guerra di secessione. Il Sud ha perso e tutto il suo mondo è crollato.

È il film che ha avuto più spettatori nella storia del cinema. 

Tre milioni e mezzo di dollari di investimento nel 1939. Tratto dal massimo best seller dell’epoca, opera di Margaret Mitchell, venne prodotto da David O. Selznick che ne fu autore e padrone, cambiando ben tre registi (Cukor, Wood e Fleming). 

Tutta la produzione fu all’insegna del “gigantesco” e della cura assoluta di ogni particolare: il miglior architetto, Menzies; il miglior stilista, Plunkett; il miglior sceneggiatore, Howard Bristol; il miglior fotografo, Haller; e il miglior compositore, Steiner. Tutti premi Oscar. La ricerca della protagonista divenne un caso nazionale. Dopo aver costretto tutte le grandi dive hollywoodiane a un provino, Selznick scelse la quasi sconosciuta Vivien Leigh, che veniva dall’Inghilterra. 

La troupe lavorò al film quasi un anno e mezzo e la “prima” avvenne ad Atlanta, teatro di gran parte della vicenda, nel dicembre del 1939. Erano presenti gli ultimi, decrepiti, reduci della guerra civile. Il film fu subito un trionfo. Tutta l’America e poi tutto il mondo lo videro. 

In Italia arrivò nel 1949. Via col vento è un’opera perfetta, è quello che vuole essere, una “grande evasione” di qualità. Spettacolo, interpretazione, ricostruzione, storia, musica, sceneggiatura: tutto funziona. Film per la famiglia, di buoni contenuti didattici, ha creato una serie di “precedenti di immagine” che fanno parte della comunicazione e della cultura del Novecento: la grinta ironica di Gable, quella capricciosa di Vivien, il gesto compassato di Howard, la dolcezza a oltranza della de Havilland, il buon senso e l’ingombro di Mamie (la McDaniel, primo attore di colore premiato con l’Oscar). Tutti “segnali” che fanno parte delle abitudini di diverse generazioni di occidentali. 

Come alcuni grandi titoli del cinema, e forse più di tutti, Via col vento è qualcosa più di un film. È un vecchio amico, una cara abitudine. Proposto in tivù più volte ha sempre mantenuto un gradimento alto e costante, competendo coi grandi titoli del momento. Negli anni Settanta in Italia si tentò di ridoppiarlo per ricomporre un linguaggio che si diceva superato (i neri dicono ancora “badrone”, fra le altre cose). Gable fu doppiato dal povero Vannucchi. Un disastro. Via col vento va bene così. Lasciamolo stare. 

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