ZOMBIELAND - DOPPIO COLPO, LA SATURAZIONE (FORSE DEFINITIVA) DI UN GENERE

Il sequel della celebre commedia apre un'ulteriore riflessione sulla figura dello zombie al cinema.

Tommaso Drudi, Vincitore del Premio Scrivere di Cinema, lunedì 18 novembre 2019 - Scrivere di Cinema

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Che lo zombie offra al racconto prospettive multiple e chiavi di lettura in grado di creare connessioni forti tra i generi non è certo una conquista del cinema di oggi, piuttosto è l'approdo definitivo di esplorazioni concettuali e riflessioni che hanno portato il non-morto ad abbandonare progressivamente il suo territorio di caccia naturale, quello dell'horror, per contaminare una regione ben più grande, quella dell'immaginario.
A ben guardare, lo zombie è una creatura priva di personalità, abbastanza codificata nelle sue connotazioni cinematografiche (dal trucco al sound design) e del tutto anonima dal punto di vista drammaturgico: perciò le sue possibilità d'impiego si estendono a visioni del cinema e del mondo differenti tra loro, a suggestioni provenienti tanto dall'action quanto dal demenziale, a traiettorie narrative imprevedibili e lontane dagli esiti cui sono giunte le elaborazioni precedenti della stessa materia.

Possiamo dire, allora, che lo zombie è il più semplice degli escamotage per creare la più fantasiosa delle storie, è copertura di superficie mascherato da elemento di svolta, in sostanza è il punto di partenza meno vincolante e più sicuro con il quale attivare il congegno cinematografico e farlo funzionare attraverso meccanismi sempre nuovi.
Tommaso Drudi, Vincitore del Premio Scrivere di Cinema

E in questo universo contaminato e ormai totalmente colonizzato, dove qualsiasi aspetto del reale si infetta di fantastico, la commedia sembra la vittima preferita del morto vivente, o quantomeno quella capace di sfruttare al meglio il clima di terrore e disperazione da fine del mondo in maniera tale che le umanità in campo interagiscano goffamente tra loro per scampare all'apocalisse.

Poco importa che il discorso descriva il materiale citatorio e meta-testuale legato alla cultura pop e alla mitologia horror, sull'esempio geniale proposto da Edgar Wright con L'alba dei morti dementi e su quello frivolo e scanzonato di Warm Bodies, o che affronti i grandi temi di dibattito contemporaneo, come la questione ambientale per I morti non muoiono di Jarmusch. Ma se lo zombie movie ha una capienza d'abbraccio così ampia da toccare la contemporaneità su più livelli di senso è pur vero che lo spettro di soluzioni possibili ormai sembra essere stato completamente scandagliato, addirittura esasperato.

Per rintracciare prototipi davvero sorprendenti occorre spostarsi lontano dal punto di vista geografico, più precisamente in Giappone, e salutare con entusiasmo un cultissimo come Zombie contro zombie (guarda la video recensione), oppure guardare al recente passato. Vista in quest'ottica l'operazione di Zombieland - Doppio colpo (guarda la video recensione) ha un suo significato: da una parte ripescare un adorabile gruppo di superstiti alle prese coi non-morti e le necessità della vita post contagio, dall'altro rielaborare i cliché del genere senza dimenticare gli espedienti e i modi con cui lo zombie è stato rappresentato nel corso dei dieci anni successivi al primo capitolo.

A questo proposito, diciamolo subito, il sequel di Benvenuti a Zombieland non offre espressioni linguistiche originali e non trasferisce sul piano artistico una situazione narrativa ormai assolutamente mercificata come quella dell'apocalisse causata da morti viventi. Per la verità, non ha nemmeno la pretesa di provarci e, in effetti, va bene così. Alla base del film di Ruben Fleischer c'è l'idea che buttare i quattro protagonisti nel marasma chiassoso e forsennato di un mondo di zombie non solo presupponga una buona dose di sequenza action, ma li metta soprattutto nelle condizioni di testare la propria attitudine alla sopravvivenza in relazione alla capacità di adattarsi alle nevrosi e alle singolarità caratteriali degli altri membri del gruppo.

Dall'esilarante fissazione di Tallahassee per Elvis Presley al rispetto maniacale di Columbus nei confronti delle regole che ha escogitato per restare vivo, lo zombie è ancora una scorciatoia narrativa che non fa perdere di tangibilità alla minaccia e al contrario esalta il lavoro di squadra, i piccoli grandi problemi sentimentali, la spassosa interazione tra personalità in continuo e conflittuale rapporto e, perché no, l'indipendenza femminile in un contesto tipicamente machista fatto di uccisioni rocambolesche e armi da fuoco. Allora il mostro, sebbene non direttamente coinvolto all'interno della formula comica (eccezion fatta per la divertente classificazione iniziale), diventa l'asse di riferimento per trasferire il buffo e la parodia all'interno delle dinamiche di gruppo.

Jesse Eisenberg sembra troppo inesperto e impacciato per confrontarsi con la sicurezza da bad girl di Emma Stone e con la follia inarrestabile di Woody Harrelson, eppure nel lungo viaggio per la sopravvivenza ogni relazione trova il modo per andare in profondità e riconciliarsi con il suo opposto. Senz'altro la saturazione artistica cui è arrivato lo zombie moderno taglia fuori il film di Fleischer da qualsiasi volontà di innovazione, ma forse per sancire definitivamente la chiusura di un genere era necessario un altro colpo. Anzi, un doppio colpo.

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