PARASITE, UN FILM CHE VA OLTRE LA COMMEDIA E AFFRONTA TEMATICHE ESTREMAMENTE ATTUALI

Bong Joon-ho dipinge il contrasto tra due mondi riuscendo a delineare con empatia ogni singolo personaggio. Al cinema.

Giovanni Bogani, sabato 16 novembre 2019 - Focus

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L'importante è avere un piano, diceva Stefano Bollani in una trasmissione di qualche anno fa. Giocava sulla confusione fra il piano con i tasti bianchi e neri, che lui suona da dio, e il piano come progetto, disegno, strategia. È importante avere un piano.

I protagonisti di Parasite (guarda la video recensione) di Bong Joon-ho - padre, madre, figlia ventenne e figlio diciottenne - ce l'hanno un piano. Un piano per uscire dalla miseria del seminterrato in cui abitano, gli scarafaggi come coinquilini, camera con vista sugli ubriachi che ti orinano in casa, con un bagno cubista che batte, per bruttezza, i Bagni orrendi anni '70 che mostra "Propaganda Live". Ce l'hanno, un piano.

Loro, creature del sottosuolo, finiti a piegare cartoni di pizza per due soldi, e non riescono a far bene neanche quello. Ma quel piano è accorto, geniale. E mentre prende forma, in noi spettatori nasce una straordinaria, sorprendente euforia.
Giovanni Bogani

Se giochi bene le tue carte, se fingi bene, se tutti fanno bene le loro mosse, forse ce la fanno. E ritrovi, nella famiglia di Ki-woo, la commedia all'italiana, I soliti ignoti di Gassman e Mastroianni finiti chissà come in Corea. E tifi per loro, per il loro piano. No, non ve lo diciamo il piano: magari dovete ancora vederlo, il film.

Basti dire che ci sono due mondi. Speculari, opposti. La città-groviglio, umida, marcescente, quella del seminterrato, dei mille accrocchi di cavi elettrici fra le case, degli ubriachi che orinano. E la casa dei ricchi che sembra disegnata da Frank Lloyd Wright, linee, lisce, levigate, perfette, casa che respira pace, benessere, silenzio, comfort. Una casa con una immensa finestra, che sembra uno schermo di cinema su un parco bellissimo. E la sua famiglia di ricchi, i Park, marito bello, dinamico, assente; moglie che, con i soldi, può permettersi il lusso dell'innocenza, dell'ingenuità. Una figlia adolescente in tempesta ormonale, e un bimbo segnato da un trauma infantile.

Viene da pensare a un vecchio, bel film di Franco Brusati, Pane e cioccolata: Nino Manfredi in Svizzera, emigrante povero e scuro, che finisce a vivere in un pollaio e a sbirciare, da dietro una rete, gli svizzeri biondi e belli che vanno a cavallo. Poco prima, Manfredi era finito a lavorare nella villa di un miliardario, una villa che ricorda quella dei Park. Chissà. In fondo, se Bong Joon-ho ama Gianni Morandi al punto da scegliere "In ginocchio da te", come colonna sonora di una sequenza chiave del film, potrebbe anche aver visto un film con Nino Manfredi.

Ma insomma. Parasite sarebbe già una commedia deliziosa, nel suo raccontare questo infiltrarsi dei poveri nella vita quotidiana, nelle abitudini, nei pensieri dei ricchi, come un virus che entra nel loro sangue. La lotta di classe raccontata senza slogan, bandiere, ideologie, operai, picchetti. La lotta di classe raccontata con classe.

Il tema, Bong Joon-ho lo aveva affrontato anche nel 2013 in Snowpiercer, il suo primo film americano. Un treno correva ossessivamente, senza fine, sulla crosta di una Terra gelata. In fondo al treno si mangiavano barrette di scarafaggi, al buio, nello sporco: verso la testa del treno c'erano un acquario, una serra, ambienti bellissimi. Dove l'obbligo era ignorare l'esistenza dell' "altro" mondo, quello dei dannati. E anche in Parasite, i ricchi possono essere felici solo ignorando l'esistenza degli sconfitti, solo cacciandoli in un angolo invisibile, al buio, negli inferi. Film quanto mai contemporaneo, a ben vedere. No?

Ma Bong Joon-ho non si accontenta. E ribalta tutto, scopre abissi ulteriori, altri doppi fondi del vivere - e della casa. E cambia persino modo di girare: dalle inquadrature controllate, composte della prima parte, con la camera che scivola elegante, l'immagine comincia a correre. Scende convulsa scale buie, mentre la commedia trascolora nell'horror. E tocca il virtuosismo in una sequenza impressionante, quella di un diluvio estremo, apocalittico, mentre i protagonisti scendono infinite scalinate, ridiscendono agli inferi della città, poi dentro quella casa, quella cantina buia dove loro vivevano già male prima. E da dove eruttano liquami da quel tragico bagno sgangherato.
"Che facciamo ora? Qual è il nostro piano?" chiede sgomenta la figlia sotto il diluvio. Poche ore dopo, il padre dirà al figlio: "Sai qual è il piano che non fallisce mai? Non averne uno. Sai perché? Se ne escogiti uno, la vita non andrà mai a quel modo". L'importante è avere un piano. Ma anche sapere che la vita ci frega comunque.

Chi un piano continua ad averlo, però, è Bong Joon-ho. Che non molla, tenendo insieme con tenacia - nella sceneggiatura scritta insieme a Han Jin-won - i tre registri del film, o i tre film nel film: l'horror, la commedia, l'action movie. Riuscendo anche nell'ultima perla: disegnare con empatia tutti i personaggi. I poveri non sono innocenti, e i ricchi non sono ignobili. Certo, la madre ricca è gentile perché può permetterselo. Certo, "i soldi sono un ferro da stiro che liscia tutte le rughe", ma anche lei è fragile. Nessuno, nel film, è davvero innocente. Nessuno è totalmente colpevole.

E così Bong Joon-ho, uno che ha faccia da ragazzone quieto e rassicurante, riesce a fare allo stesso tempo un film politico, un film di suspense e di azione, e un film punteggiato di humour: nel quale, anche nei momenti più assurdi e tragici, si ride davvero. Quella Palma d'oro vinta a Cannes, la chiamata a rappresentare la Corea del Sud agli Oscar per il miglior film internazionale e le attenzioni che sta suscitando adesso in sala se le merita tutte.

In foto una scena del film Parasite.
In foto una scena del film Parasite.
In foto una scena del film Parasite.
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