Lo scrittore è scomparso oggi all'età di 93 anni. Pino Farinotti ne commemora i giorni da milanese.
Camilleri sarà analizzato e studiato completamente, antropologicamente, però c'è un aspetto non così conosciuto. Il Camilleri milanese. Due anni fa ho avuto il privilegio di conoscerlo quando è venuto a Milano, ospite di Casa Manzoni. Dopo qualche convenzionale approccio dialettico, culturale, lo scrittore mi fermò con un contropiede deciso, accentuato da quei suoi movimenti con le mani. "Guardi che io sono un siciliano milanese. Se sono Andrea Camilleri, lo devo anche alla cultura di questa città." Una digressione, un fuori tema che mi sta a cuore: sono (quasi) le stesse parole di Ernest Hemingway "senza Milano non sarei l'uomo e lo scrittore che sono". Nella "casa" lo accompagnavamo, lento piede, nelle stanze. Si guardava in giro. Entrò nella camera da letto e nello studio, rimasti come allora, di don Lisander, guardava la scrivania con gli oggetti di scrittura, la famosa tabacchiera. Nei vari ambienti diceva:
D'accordo la cultura, enorme dell'uomo, ma quella "milanesità" mi incantava. Durante le riprese sul Manzoni mi trovai in una situazione fortunata. La "casa" ospitava un intervento sui "Promessi sposi" di Emilio Isgrò, il grande artista siciliano. Isgrò, non gode della popolarità enorme di Camilleri, ma è un talento completo: è scrittore e drammaturgo, ma soprattutto è inventore di quelle che vengono definite "cancellature". È un nome di punta, noto nel mondo, del "concettuale" italiano. Anche Isgrò, come Camilleri è un appassionato manzoniano, soprattutto, come Camilleri, è un "milanese" ed è uno degli attori del mio film. Ho fatto in modo che si incontrassero. Sentire "quei due" commentare "I promessi sposi" in siciliano era un suggestivo sortilegio artistico. Ma ecco un concetto quantomeno sorprendente, che creò uno sconcerto fra i presenti: "Manzoni è in realtà uno scrittore del novecento, mentre Lampedusa è dell'ottocento". Superfluo rilevare la conterraneità dei due scrittori e la "vis polemica " di Camilleri. E poi le citazioni, a memoria. Stralci de "I Promessi Sposi", ma non "Quel ramo del lago di Como..." oppure "L'addio ai monti", o Cecilia che scende dalla soglia, ma frasi mirate, rispetto all'argomento sul tappeto.
Il "Piccolo" divenne una memoria magnifica, perché l'Andrea 23enne, era il 1947, si trovava a Milano proprio all'inaugurazione, col lavoro "L'albergo dei poveri" di Massimo Gorki. A questo punto, per le sue parole ricorro al virgolettato, al copia-incolla di due suoi interventi nei miei film, su Manzoni e sul "Piccolo": "E mi imbattei nella "Colonna infame" e fu veramente una sorpresa grandissima per me e lo considero un libro fondamentale per la mia personale crescita. Quello è un libro sulla responsabilità individuale, sulla giustizia un libro su che cosa significhi una giustizia assoggettata a un dovere politico o a una necessità politica..." "Il Piccolo teatro è stato qualcosa di fondamentale per l'Italia. Un giorno bisognerebbe scrivere dell'importanza che il Piccolo ebbe come esempio di altri teatri stabili. Aveva Strehler, che aveva capito, al di là del suo grande talento l'importanza di un teatro pubblico. Quello che temeva il sindaco Greppi, uomo illuminato, era lo sperimentalismo, la ricerca di testi difficili e di non immediata ricezione. E infatti credo che il Piccolo abbia seguito questa strada... legittimata da Brecht, perché "Il Cerchio di gesso del Caucaso" e il "Galileo" sono testi, facili, figuriamoci se Brecht non ricercasse la pronta, immediata ricezione di ciò che raccontava." Andrea Camilleri, el milanes.