LA CORDILLÈRE DES SONGES, PATRICIO GUZMÁN CERCA UN SORRISO SUL VOLTO DEL CILE

Il grande memorialista conclude la sua trilogia sul territorio. Fuori Concorso a Cannes 2019.

Marianna Cappi, lunedì 20 maggio 2019 - Festival

Dopo essere andato a Nord, nel deserto di Atacama, per Nostalgia della luce, ed essere stato a Sud, in Patagonia, per La memoria dell'acqua, Patricio Guzmán chiude con La cordillère des songes la trilogia sul territorio fisico cileno indagato come testo emotivo, mémoir di un periodo storico - la dittatura di Pinochet- che ha riscritto una cultura antica di ventimila anni e ferito il paese in ogni centimetro della sua superficie.
Per il regista cileno, che ha lasciato la sua terra dopo il colpo di Stato del '73 e non è mai tornato a viverci, superare la cordigliera delle Ande significa entrare nel paese dell'infanzia, viaggiare nel passato, in un luogo che non ha più carattere di realtà materiale, trasfigurato com'è dai tanti anni di distanza e di reinvenzione.

Come già per i film precedenti, alla bellezza della geografia fisica corrisponde l'orrore della geografia politica, perché sotto il cielo più limpido del pianeta ci sono i morti senza sepoltura del regime, e chiuso e protetto dalla cordigliera, altera, composta e maestosa, c'è il ricordo della furia della polizia, del sentiero delle deportazioni di massa, delle urla dei manifestanti brutalmente picchiati.
Marianna Cappi

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