Il film è il miglior esempio di come si è trasformato il cinema spettacolare nel nuovo millennio. Al cinema.
Avengers: Endgame è il punto di fusione del cinema come industria dell'intrattenimento. Con buona pace dei sostenitori a oltranza del cinema come arte (tutto il cinema è arte industriale, non solo le opere che piacciono alla minoranza degli spettatori), l'ultimo capitolo di questa fase del Marvel Cinematic Universe rappresenta il più ambizioso tentativo di contenere in uno stesso film l'universo completo delle storie che lo rappresentano. Ci sono almeno due strategie da evidenziare, per comprendere l'enormità del progetto. La prima è quasi sublime (attenzione agli spoiler da qui in avanti): introdurre il viaggio nel tempo così da riportare i protagonisti nei vari capitoli della saga, quasi come osservatori delle proprie stesse linee narrative. Non si ricorda una sezione di film tanto estesa che fosse al tempo stesso un commento/riassunto in forma narrativa di quel che è accaduto in questo decennio abbondante.
La seconda strategia è quella di non dimenticare nessuno dei personaggi, in una sorta di album di famiglia dove ogni singola maschera e ogni singolo brandello di storytelling vengono integrati in una macchina di oltre tre ore, oliata dall'avventura e fluidificata dall'epico scontro con Thanos, affrontato ben due volte lungo il racconto. La rappresentazione plastica dello schieramento super-eroistico dei buoni è un pop-up cinematografico di potenza impressionante, destinato a segnare in futuro il simbolo del cinema blockbuster per come lo avremo conosciuto tra 2008 e 2019.
Insomma, Avengers: Endgame è il miglior esempio di come si è trasformato il cinema spettacolare nel nuovo millennio: un congegno crossmediale, iper-narrativo, pieno di fan service e di comunicazioni extra-filmiche (basti pensare a come hanno giocato con le attese degli spettatori i profili Instagram degli attori nei mesi scorsi), una vera e propria industria dell'intrattenimento che ha messo al lavoro centinaia di migliaia di persone in un decennio, una specie di mega-azienda che produce simboli, miti, icone e linee narrative.
Eppure, in tutto questo marketing e in tutta questa spietata organizzazione commerciale, rimane intatta la centralità della sala cinematografica, come dimostra il successo clamoroso del film.
Distratti dalle strategie di questa complessa industria culturale, non dobbiamo dimenticarci che Avengers: Endgame in questa fase è il film che ha fatto piazza pulita di Netflix, Amazon o Sky, di streaming e pirateria, di televisione e prodotti consumati su tablet, di consumi alternativi o dei tanti media digitali che ci distraggono: tutti al cinema, in massa, come alle origini, avvinti da una vicenda che non fa volare una mosca in sala, appesi ai colpi di scena e alle svolte narrative, pronti a cogliere ogni sfumatura della trama e spesso a bocca aperta per lo stupore visivo sul grande schermo. Un rito collettivo che, se visto con occhi più candidi, è il contrario esatto di quanto elencato sinora, ovvero il buon, vecchio cinema in sala che compie ancora oggi, alla fine del primo ventennio del nuovo secolo, il consueto miracolo di spingere milioni di persone dentro un luogo buio insieme ad altre persone, con i loro odori, rumori, voci (o silenzi).
Insomma, Avengers: Endgame rappresenta l'estasi del cinema come lavoro collettivo, business industriale, valore produttivo. Non c'è autore che tenga, forse non c'è critica che serva, e proprio per questo è un'evoluzione del concetto di cultura popolare che deve essere rispettata nella sua gigantesca efficacia. That's entertainment. Lo è sempre stato.