RYSZARD KAPUSCINSKI, IL CHATWIN DELL'EST

Il giornalista è protagonista di Ancora un giorno, piccolo gioiello d'animazione 'documentaria' sulla guerra civile che piegò l'Angola nel 1975. Fuori Concorso al Festival di Cannes e dal 24 aprile al cinema.

Ilaria Ravarino, lunedì 15 aprile 2019 - Focus

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Giornalista, scrittore, intellettuale, antropologo, artista, ascoltatore. Ma sulla sua tomba Ryszard Kapuscinski avrebbe voluto fosse scritta solo una parola: poeta. E guardando Ancora un giorno (guarda la video recensione), piccolo gioiello d'animazione "documentaria" sulla guerra civile che piegò l'Angola nel 1975, è evidente come nei lavori non esplicitamente giornalistici del "Bruce Chatwin dell'Est" la lettura della realtà - filtrata da un'innata empatia - riuscisse ad avvicinarsi alla poesia.

Nato nella Polonia orientale, in una regione che oggi appartiene alla Bielorussia, Kapuscinski ebbe un'infanzia difficile - in fuga dai nazisti, costretto alla povertà, da bambino vendeva saponette per permettersi le scarpe - e incontrò il giornalismo nel 1946, grazie al reporter polacco Ksawery Pruszynski.
Ilaria Ravarino

I primi viaggi all'estero, dal 1956 per la testata Sztandar Mlodych, furono in India, a Karachi, Kabul e in Cina. Fino al 1981 lavorò per la Pap, l'agenzia di stampa nazionale polacca, per la quale scrisse dall'Iran, dall'URSS e da una cinquantina di stati africani. Fu condannato a morte quattro volte, visse 27 rivoluzioni, ebbe amicizie importanti (Che Guevara) e insidiosi detrattori (Artur Domoslawski), e nel 1983 la rivista Newsweek definì il suo 'Negus, splendori e miserie di un autocrate' uno dei migliori dieci libri dell'anno. Tra le sue opere anche 'Giungla polacca', 'Se tutta l'Africa', il saggio-reportage nelle repubbliche sovietiche 'Imperium', 'Lapidarium', 'Ebano' sui viaggi in Africa, 'Shah-In-shah', summa dell'anno trascorso in Iran, e 'In viaggio con Erodoto'.

Kapuscinski e il giornalismo
Almeno due sono i libri che Kapuscinski dedicò al mestiere di giornalista, un lavoro che non riuscì mai ad abbandonare del tutto - continuò a scrivere, raccontando l'andamento della sua malattia, anche dalla clinica di Varsavia in cui nel 2007 trovò la morte: 'Il cinico non è adatto a questo mestiere: conversazioni sul buon giornalismo' e 'Autoportret reportera' ('Autoritratto di un reporter').

Convinto della qualità umana del giornalismo ("Un reporter deve essere per forza capace di empatia"), Kapuscinski rifiutava il cinismo quanto la sciatteria, mettendo al primo posto nella galleria delle qualità del giornalista due caratteristiche: la passione e la curiosità. Celebre per le sue scelte anticonformiste - una su tutte: ammalatosi di tubercolosi in Africa, scelse di farsi curare negli ospedali del posto, insieme ai locali, per avere un'idea più chiara della loro quotidianità - in 'Autoritratto di un reporter' detta le regole del moderno reportage: "Il viaggio a scopo di reportage esclude qualsiasi curiosità turistica, esige un duro lavoro e una solida preparazione teorica, per esempio la conoscenza del terreno su cui ci si muove. (...) Il viaggio a scopo di reportage esige un surplus emotivo e molta passione. Anzi la passione è l'unico motivo valido per compierlo. È per questo che così poche persone lo praticano su scala mondiale".

Kapuscinski e l'Africa
Con l'Africa Kapuscinski ha intessuto per più di un ventennio, dalla fine degli anni Sessanta, un rapporto di profondo interesse, di sincero scambio, persino d'amore. Visse il clima politico che accompagnò la fase di decolonizzazione del continente denunciando le responsabilità dell'imperialismo occidentale, ma cogliendo anche il senso di un mutamento storico spesso non all'altezza delle aspettative democratiche.

Raccontando l'Africa (espressione che non gli sarebbe piaciuta perché "l'Africa - come scrisse nella prefazione di Ebano - è troppo grande per poterla descrivere") Kapuscinski ha raccontato anche i meccanismi universali alla base della cattiva gestione del potere, quando le buone intenzioni si trasformano nel loro opposto. Come scrive in 'Ebano': "I politici vogliono qualcosa di buono, cominciano a farlo e dopo un mese, un anno, tre anni, si rendono conto che ogni cosa sprofonda nella sabbia. (...) In queste condizioni il progresso diventa un'impresa disperata. L'uomo politico comincia a dibattersi, cerca nella dittatura una via d'uscita. La dittatura suscita l'opposizione e l'opposizione organizza il colpo di stato. E il ciclo ricomincia".

In foto una scena del film Ancora un giorno.
In foto una scena del film Ancora un giorno.
In foto una scena del film Ancora un giorno.
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