Un racconto onesto, senza funambolismi. Al cinema.
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La vicenda di Remi è nota: abbandonato da neonato da una famiglia inglese e raccolto da un coppia della campagna francese, cambia vita quando quest'ultima riconosce che non può permettersi il sostentamento del bambino e dunque lo affida a Vitali, artista di strada che lo "compra" per trenta franchi - per evitargli l'orfanotrofio e per insegnargli a cantare -, dopo essersi accorto del suo talento: una voce celestiale. Inizia così, all'insegna dell'avventura, il viaggio del piccolo, che si ricongiungerà con la casa natìa.
"Solo chi soffre impara", così scrisse Eschilo nel suo "Agamennone": nel film il regista sembra non dimenticare questo insegnamento e, anzi, lo pone come fulcro di un film che rispetta la propria fonte, rinnovandosi come racconto di formazione. Un concetto, quello ripreso da Blossier, che permea l'intera opera, nella narrazione così come nella scenografia, anch'essa a cura dello stesso regista: intensi lampi luminosi si alternano quindi a cupe, favolistiche raffigurazioni delle tenebre. Tale avvicendamento trova la sua ragion d'essere nel profilarsi della storia, che progressivamente mostra la curiositas del piccolo Remi, in perenne bilico tra sofferenza (che ritorna, circolarmente, in un continuo abbandono del bambino) e apprendimento.
La tragedia è costitutiva dell'uomo e del bambino e condizione necessaria per la sua successiva redenzione, tradotta nel film dal canto angelico (e, appunto, di liberazione) del protagonista. Remi è, dunque, allo stesso tempo Odisseo - con tanto di cane, fedele e fidato - alla costante ricerca di pericolose avventure, ma tormentato dalla lontananza da casa, e Renzo e Lucia, che soltanto attraverso mille "guai" realizzano la loro volontà.
Il piccolo si eleva, quindi, a carattere universale, simbolo di un processo che risente della letteratura edificante e che trasmette un preciso messaggio ai ragazzi: "pathei mathos", ovvero la saggezza attraverso la sofferenza, l'esperienza e il vivere. Un precetto che assume un valore ancora maggiore nel contesto contemporaneo, in cui la competizione imbriglia l'evoluzione del pensiero e lo sviluppo educativo: la conoscenza non è una comoda meta, ma frutto di un travagliato viaggio attraverso la vita. E Blossier dedica questo "Remi" a una affettuosa, talvolta amara, indagine sulla crescita, dando, peraltro, nuovo respiro al film per ragazzi, un genere di cui l'Italia sembra essersi dimenticata, di farlo rifiorire anche nel Bel Paese - e che tuttavia non ha smesso di emozionare e soprendere.
Perché Remi è un racconto onesto, senza funambolismi, ma che trova una sua efficacia nel recupero di un topos classico e mai crollato, e, forse, privo di una data di scadenza, anche dal punto di vista emotivo.