Il film di Steven Caple jr. punta a rifondare il cinema di genere pugilistico proponendo un sano divertimento epidermico e appassionante. Al cinema.
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Sebbene nei principali dizionari della critica, spesso cipigliosi, Rocky IV venga liquidato con un'alzata di spalle e qualche sarcasmo, dentro la cultura popolare il terzo sequel della saga ideata da Sylvester Stallone occupa un posto speciale. Al di là della propaganda da (tramontante) guerra fredda, Rocky IV non solo portava a morte un protagonista importante del franchise (Apollo Creed), con un'intuizione degna dei colpi di scena della serialità contemporanea, ma proponeva un confronto tanto elementare quanto potente: la lotta tra l'eroe popolare e il mostro, tra l'atleta operaio e l'uomo-macchina, insomma tra Balboa e Drago.
La cosa interessante del film era il modo in cui la cultura americana rivendicava (attraverso gli allenamenti nella neve e con il solo aiuto del sudore) una fatica "proletaria" nei confronti di un pugile, Ivan, allenato a tecnologia, scienza, medicine, insomma ben lontano dalla retorica del "compagno" tutto fatica e collettivismo.
Anche in Creed II i luoghi mitici del film precedente (in fondo questo è anche Rocky VIII) ritornano, compresa la rigenerazione mentale attraverso l'allenamento estremo - e vagamente masochistico - nel deserto, lontani da telecamere e giornalisti. Ma quel che più conta è aver convocato l'invecchiato Ivan Drago, all'angolo contrapposto di Rocky, e aver proposto l'iconica rivincita tra i due figli dei campioni, una sfida che al padre di Adonis Creed, Apollo, era come noto costata la vita.
Figuriamoci oggi, dove le mitologie cinematografiche faticano a imporsi come un tempo, assediati da nuovi riti culturali e fiaccati dalla serialità televisiva. Ecco perché sia i personaggi degli anni Ottanta sia nello specifico Rocky IV assumono in Creed II un ruolo psicologico così potente: non si tratta solamente di icone che si sono incardinate nell'immaginario dello spettatore affezionato, ma anche di figure cui si invidia la capacità di restare immortali dopo tanti anni.
Di quanti film contemporanei lo si potrà dire in futuro? Non è un problema di qualità del cinema del presente, solo di rapidità e vaporizzazione comunicativa, che non permette facili permanenze nella memoria spettatoriale.
Bene hanno fatto dunque Stallone alla sceneggiatura (a proposito, a quando una completa riconsiderazione di Sly come scrittore?), Ryan Coogler in produzione e Steven Caple jr. in regia a escludere in partenza ogni desiderio di decostruire il mito o di eccedere in autorialità, o in sentimenti crepuscolari.
Creed II punta a rifondare il cinema di genere pugilistico, a capitalizzare questa strana saga a forma di spin off, ad affiancare i fan degli anni Ottanta con quelli di oggi (nelle sale dove si proietta il film, si notano moltissimi cinquantenni con figli adolescenti), e a sbancare il box office. Se qualcuno vuole mugugnare, liberissimo. Tuttavia, vale la pena avvertire che quando ci si lamenta perché il cinema popolare è stato completamente soppiantato dai supereroi con effetti speciali, e si rimpiange un tempo di generi sangue sudore e lacrime, non è poi il caso di fare gli schizzinosi se Creed II ogni tanto taglia con l'accetta le sfumature e propone un sano divertimento epidermico e appassionante. Con un pizzico di straziante crudeltà: il meccanismo di umiliazioni e rabbia della famiglia Drago, cui non viene risparmiato alcun accento tragico.
Insomma, anche se le vorticose riprese sul ring di Ryan Coogler e la sua sensibilità nella rappresentazione del milieu afroamericano mancano un po', Creed II è il film giusto al momento giusto.