Il ricorso di Chazelle al meccanico e al rumore tradisce il desiderio di tornare indietro nel tempo, nell'America della conquista dello spazio, dei progetti, degli scienziati, nell'America pre-digitale. Al cinema.
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Quando, nel 1902, Georges Méliès stupiva l'Europa mettendo in scena un viaggio sulla Luna al tempo stesso fantascientifico e borghese, fiabesco e spettacolare, poetico e cialtrone, forse pensava che l'arrivo sul satellite sarebbe arrivato prima del 1969. In verità, se si guarda il piccolo film del grande pioniere francese, possiamo notare che la prima sequenza si svolge in un'aula, dove alcuni scienziati parrucconi dall'aria di maghi discutono su come viaggiare fuori dalla Terra e tracciano una semplicissima traiettoria sulla lavagna: per andare sulla Luna serve solo la volontà.
Damien Chazelle cerca in tutti i modi di rappresentare come deve essere stato entrare in navette ben diverse da quelle di cinquant'anni dopo, o che cosa ha significato in termini di investimento emotivo e sociale la corsa verso lo spazio. Il suo film è un film storico, perché esce nel 2018. Quello di Méliès era un film di fantascienza perché uscì a inizio del '900. È la storia a decretare la differenza tra memoria dei fatti e fantasia sfrenata - a meno che qualcuno ancora non creda alla storia del complotto, e alla possibilità che non siamo mai stati sulla Luna.
Ma in che modo Chazelle costruisce il suo "verosimile"? Senza bisogno che lo spettatore vada a spulciare enciclopedie e libri di storia per controllare se il film racconta fedelmente le varie tappe della preparazione al viaggio, o se rispetti quel che sappiamo della vita privata di Neil Armstrong, First Man - Il primo uomo lavora sulla credibilità dell'esperienza.
Molto del cinema contemporaneo, grazie alle nuove tecnologie digitali e alle nuove sensibilità estetiche, simula e soggettivizza prima ancora di mostrare. Non a caso, l'inizio del film è fatto di rumori, cigolii, scoppi, singulti, respiri, boati, una specie di immersione ottica e sonora dentro un abitacolo e all'interno di una visione soggettiva del volo ad altissima quota. Questo è in fondo il desiderio del cinema americano, quello di continuare a proporre spettacoli che coinvolgono lo spettatore in maniera fisica, corporea. Sebbene First Man - Il primo uomo fallisca quando si concentra sulla vita familiare dei personaggi, è proprio quando l'astronauta lascia la propria casa per volare via che Damien Chazelle cerca di condurre al meglio la sua partita cinematografica.
E allora, oltre alla dimensione percettiva così tanto sviluppata da Damien Chazelle (magari anche come antidoto alle retoriche del biopic e al rischio celebrativo del cinquantennale dallo sbarco), si fa strada un'altra ipotesi. Più che spaventoso o consolante per come il progresso ha migliorato le cose, questo ricorso al meccanico e al rumore tradisce una nostalgia. La stessa nostalgia per il jazz dei tempi d'oro presente in Whiplash e La La Land. La stessa nostalgia per un America che non c'è più. L'America della conquista dello spazio, l'America dei progetti, l'America degli scienziati. L'America pre-digitale.