Dal 13 settembre al cinema con Un affare di famiglia, film vincitore della Palma d'Oro a Cannes 2018, il regista rivela a MYmovies.it le sue idee sulla società giapponese moderna e sul suo modo di intendere il cinema.
Il tuo browser non supporta i video in HTML5.
Guardare un film di Hirokazu Kore'eda è come ritrovarsi in famiglia. Da qualche anno il suo cinema ritorna sui medesimi temi: la filiazione, i legami intimi che la biologia impone e le relazioni affettive che scegliamo. Da Nobody Knows a Ritratto di famiglia con tempesta, passando per Still Walking, Father and Son e Little Sister fino ad arrivare a Un affare di famiglia, la sua opera è un grande ma minuzioso studio della cellula familiare.
In occasione dell'uscita di Un affare di famiglia abbiamo incontrato il suo autore.
Nobody Knows, I Wish, Father and Son e Un affare di famiglia sono girati ad altezza di bambino, il vostro cinema come quello di François Truffaut accorda un'importanza centrale all'infanzia. Cosa vi spinge a ritornare sempre all'infanzia?
Attraverso lo sguardo dei bambini posso introdurre punti di vista critici sull'esistenza degli adulti..
Secondo lei i bambini possono diventare la lente attraverso cui misuriamo le capacità degli adulti?
Sì penso che sia esattamente così.
È vero, come sosteneva François Truffaut che non si finisce mai con l'infanzia?
È impossibile conservare per sempre lo sguardo di un bambino ma penso sia indispensabile per fare cinema.
Quali sono i vostri film preferiti sull'infanzia?
Direi senza dubbio Amarcord di Federico Fellini, Sta' fermo, muori e resuscita di Vitali Kanevsky e Lo spirito dell'alveare di Victor Erice.
Qual è la responsabilità di un regista quando dirige un bambino?
Partecipare alla realizzazione di un film è un momento molto istruttivo per loro.
Il suo lavoro, tutto in sottrazione, viene spesso comparato a quello di Yasujiro Ozu ma la dimensione sociale del suo cinema mi sembra più vicina al cinema di Mikio Naruse. Può dirmi a quale dei due si sente più prossimo?
Al cinema di Mikio Naruse, decisamente, nessuno dei suoi personaggi è inutile. Amo tutto di loro, soprattutto le debolezze.
Un sondaggio recente di "Le Monde" sulla società giapponese e i suoi codici sentimentali, riferiva il ritorno del conservatorismo familiare, dall'altra sugli schermi francesi usciva a puntate Happy Hour di Ryusuke Hamaguchi, testimoniando il risveglio intimo delle sue quattro protagoniste che passa per un divorzio impossibile. A che punto è secondo lei l'educazione sentimentale in Giappone?
La cosiddetta "famiglia ideale" è considerata oggi un concetto superato. I valori familiari in Giappone si stanno aggiornando, ci stiamo avvicinando a una concezione più moderna della famiglia. Si lavora molto sulla formazione morale dell'individuo e della coppia, altrettanto per riconoscere alle donne un ruolo più attivo nella società. Anche se ci sono ancora troppi uomini che vorrebbero costringere le donne a casa a crescere i figli, sono stati fatti molti passi avanti. Se una donna vuole in Giappone oggi può anche conservare il "cognome da signorina"... Qualcuno sostiene che le 'nuove famiglie' non prestino le cure necessarie ai propri figli ma io credo che si potrebbe dire la stessa cosa di quelle tradizionali. Personalmente faccio film sulla famiglia per testarle, indagarle, fare il punto alla luce dei cambiamenti sociali.
Può dirci qualcosa del suo prossimo progetto francese? Trasloca lo sguardo in Francia ma conferma il suo luogo di predilezione: la famiglia...
Mi sono interrogato sulla vita dell'attore. Che tipo di esistenza conduce? Quali sono le sue emozioni? Come fa a piangere o a ridere in scena? Dove prende l'energia per creare un ruolo? Ho scritto una sceneggiatura, ancora da ultimare, partendo da queste domande. Quindici anni fa scrissi sullo stesso tema una pièce teatrale, un atto unico ambientato nel camerino di un teatro. Sono tornato su quel progetto, ne ho parlato con Juliette Binoche, in visita in Giappone, e abbiamo deciso insieme di farne un film. L'ho lasciato decantare ancora un po' nel cassetto e poi, recuperata l'energia necessaria, l'ho ripescato e ho deciso di ambientarlo in Francia. È allora che avuto l'idea di raccontare la storia di una madre e di una figlia che non è riuscita a realizzare il sogno di diventare attrice.