Un ritratto agrodolce della senilità costruito su volto e corpo di un grande attore. Recensione di Emanuele Sacchi, legge Lorenzo Frediani.
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Alla soglia dei novant'anni Lucky tiene fede al suo nomignolo. Pur fumando un pacchetto di sigarette al giorno e bevendo alcolici, le sue diagnosi mediche sono impeccabili. Ma dopo una caduta comincia a temere la morte e la solitudine. Omaggio cinefilo a un'icona del cinema, Lucky è film di attori, anzi di uno solo: un Harry Dean Stanton alle prese con la performance di una vita, in cui infonde elementi autobiografici e schegge delle maschere indossate in passato, come quella con David Lynch che qui interpreta un anziano solitario, più eccentrico e meno cinico di Lucky. Un film semplice, schietto, all'antica, che si serve di un attore maiuscolo per raccontare una parabola sulla paura della morte e su come affrontarla per ritrovare interesse e stupore nella vita.
In occasione dell'uscita al cinema di Lucky, in sala dal 29 agosto, Lorenzo Frediani interpreta la recensione di Emanuele Sacchi.