Kore'eda confeziona il ritratto di un sistema sociale settario e gerarchizzato che emargina senza lasciare scelta. Palma d'Oro a Cannes e dal 13 settembre al cinema.
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"Che cosa ci unisce? I soldi?". Questa domanda, espressa da uno dei componenti della "famiglia" al centro del film di Hirokazu Kore'eda che ha conquistato la Palma d'Oro all'ultimo Festival di Cannes, è centrale a tutto lo svolgimento di una storia che affronta - in forma meravigliosamente narrativa - il modo in cui il denaro - o la sua assenza - condizionino i rapporti fra gli esseri umani, soprattutto in una società rigidamente divisa in caste come quella contemporanea giapponese.
La nonna riceve soldi da un ex marito che le ha preferito un'altra famiglia, l'uomo accetta ingaggi a giornata da un cantiere edile e quando si fa male (sul luogo di lavoro) non ha diritto ad alcun sostegno economico, la donna fa la stiratrice in una lavanderia il cui capo pretende dalle dipendenti uno di quei contratti di solidarietà "con cui si diventa tutti un po' più poveri", la ragazza si esibisce in un peep shop, e il bambino rubacchia qua e là, come gli hanno insegnato gli adulti di casa. Tutti campano di espedienti, nella più totale clandestinità, riuscendo a malapena a sopravvivere.
Ma peggio di loro, eticamente parlando, vivono quei borghesi che credono di risolvere tutto usando il denaro per lavarsi la coscienza: genitori manchevoli o addirittura violenti, devoti al culto dell'individualismo e del tutto privi di quella cultura dell'ospitalità che, in Giappone come in molti altri Paesi, fa parte del passato. La 'famiglia' al centro della storia invece è formata da persone che scelgono ogni giorno di appartenersi e di proteggersi, rifiutando di respingere chi è ancora più in difficoltà di loro. Ma il denaro contamina anche le loro relazioni, che si muovono lungo un confine sottile fra affetto e interesse, fra slancio amorevole e arido tornaconto.
Per Shota qualcosa non torna, non è convinto che la merce che ruba non appartenga a nessuno, né che frequentino la scuola solo i bambini che non possono studiare a casa. E comincia a domandarsi, nel ruolo di fratello maggiore, quale sia l'esempio da dare alla piccola Juri.
I nodi, narrativi ed etici, verranno al pettine, ma a pagare saranno solo le anime generose, non i responsabili di un sistema sociale improntato in maniera gerarchica ad un settarismo che esclude qualsiasi forma di accoglienza nei confronti del diverso e del povero, e che nutre un'emarginazione non solo economica: chi, come la giovane Aki, non si riconosce in questo spietato sistema piramidale, se ne chiama fuori volontariamente, collocandosi per scelta fra i reietti e i diseredati. Perché la vera famiglia di appartenenza, e dunque di elezione, dovrebbe essere principalmente quella umana.