Joachim Trier rispetta i codici dell'horror, senza la pretesa di svuotarli dall'interno, e gioca con una certa maestria dimostrando di potersi appropriare di temi alla Stephen King. Al cinema.
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Il genere horror viaggia da sempre in bilico tra piacere dell'identico e richiesta di innovazione. Da una parte i fan sono tra i più fedeli, poiché la loro fame di tensione supera qualsiasi crisi di creatività che il genere attraversa; dall'altra sono anche esigenti, per cui chiedono all'horror di essere audace e di spingere se possibile un po' più in là i codici e i confini del settore. Questo equilibrio instabile - un cliché che deve confermarsi tale senza darlo troppo a vedere - sembra perfettamente individuato da Thelma di Joachim Trier, che per di più ha una provenienza europea, in particolare norvegese, e dunque già di per sé differente e originale rispetto alla scuola americana e anglosassone, prevalente in termini produttivi.
Trier segue la seconda ipotesi, dunque realizza un horror raffinato, autoriale, pieno di allegorie visibili - come quella sulla sessualità adolescenziale e sulla ribellione ai genitori - ma senza esagerare in senso visionario. E per fortuna, aggiungeremmo, perché anche i migliori esempi di horror "trasfigurato" e poetico tradiscono la sensazione che gli strumenti del genere siano considerati rozzi e inopportuni, dunque da nobilitare, legittimare e riscattare rispetto alle pratiche eccessive del cinema commerciale.
Trier sembra invece rispettare i codici dell'horror, senza la pretesa di svuotarli dall'interno, anzi gioca con una certa maestria dimostrando di potersi appropriare di temi alla Stephen King (principalmente Carrie - Lo sguardo di Satana e Fenomeni paranormali incontrollabili), di certe atmosfere della RKO anni Quaranta e dei film di Val Lewton (Il bacio della pantera), di modelli recenti come Lasciami entrare o Il cigno nero, senza farsi schiacciare dalle molteplici influenze.
In fondo, anche questa è una ipotesi di cinema europeo, che ribalta e scavalca gli stereotipi. L'idea che in Europa si debbano girare principalmente film d'autore o fenomeni commerciali nazionali (magari da rivendere per remake all'estero) fa sempre pensare all'eccezione culturale. Stavolta il percorso è contrario: è il cinema continentale a far suoi gli elementi più riconoscibili dell'immaginario americano, e a dimostrare che - per esempio - l'America di Stephen King è serenamente trasferibile nella Norvegia contemporanea e che certi elementi dell'horror (quelli più fiabeschi, che contengono indicibili verità sul sesso e sulle pulsioni) appartengono a miti e racconti universali.
E il doppio rapporto narrato - quello tra la protagonista e l'amica/amante e quello ancora tra Thelma e i genitori - si carica di consonanze e echi sempre più inquietanti, che dispongono alla curiosità. Anche questa è una forma di rispetto dello spettatore, laddove l'ambiguità e l'incertezza sulla spiegazione razionale o irrazionale degli avvenimenti cui assistiamo (materia stessa del fantastico) non si sciolgono mai, forse nemmeno alla fine del film.
Dunque, Thelma non va eccessivamente sottoposto a spiegazioni psicanalitiche e interpretazioni complesse perché al fondo vuol pur sempre essere un horror da consumare e da cui farsi sorprendere senza troppi strascichi. Come i buoni horror richiedono.