LA TERRA DELL'ABBASTANZA, UNA CREDIBILITÀ CHE FA PAURA

L'esordio solido e convincente dei fratelli D'Innocenzo racconta un'Italia ormai completamente abbandonata, ed è anche questa la ragione del suo successo. Al cinema.

Roy Menarini, domenica 10 giugno 2018 - Focus

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Matteo Olivetti 1990, Chatham (Gran Bretagna). Nel film di Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo La terra dell'abbastanza.

Le periferie, gli esclusi e la violenza della criminalità organizzata sembrano una piccola ossessione per il cinema italiano di questi anni. I personaggi di molti film, infatti, rappresentano figure che vivono situazioni di disagio e vengono quindi risucchiati in una situazione più grande di loro, dove il livello di sopruso e di disumanità diventa insostenibile per spalle troppo gracili. La terra dell'abbastanza, solido e convincente esordio dei fratelli D'Innocenzo, irrobustisce il filone. Quando si dice, di quest'opera, che non si tratta del solito film sulle periferie, ci si riferisce probabilmente all'insistenza con cui sono stati realizzati racconti di emarginazione sociale e con cui sono stati presi a paesaggio iconografico i luoghi anonimi e abbandonati dei centri urbani contemporanei, Roma in primis. Il dovere dello studioso, però, a differenza del critico, è quello di chiedersi se c'è una tendenza in atto e perché.

La presenza di un sotto-genere è evidente, da Cuori puri a Fiore, da La ragazza del mondo a Fortunata, dai più indipendenti (Manuel) ai più conosciuti (Dogman). Ed è interessante notare come in molti dei casi elencati la critica, per elogiarli, abbia scritto di ciascuno che "no, non è il solito film sulle periferie e il disagio".
Roy Menarini

Forse questa determinazione a identificare un modello stereotipato e, per diniego, distinguere il meglio non è la strada migliore per difendere il prodotto. Perché invece non pensare che questo cinema italiano (al di là dei sospetti su che cosa scelga di raccontare per avere ascolto nelle stanze ministeriali, sensibili alla dimensione pedagogica) abbia in fondo funzionato da sismografo dell'Italia contemporanea?

In foto una scena del film La terra dell'abbastanza.
In foto una scena del film La terra dell'abbastanza.
In foto una scena del film La terra dell'abbastanza.

La terra dell'abbastanza narra, in un modo che pensiamo non sarebbe dispiaciuto a Claudio Caligari, la negoziazione tra sopportazione del male e esigenze di sopravvivenza da parte di due giovani senza arte né parte. La dimensione sociale e famigliare è contesto ineludibile, sfondo sempre insistito. Non si dice cioè, come pure si potrebbe sospettare, che gli autori attribuiscono la colpa al modo in cui i due ragazzi sono cresciuti e al deserto culturale che hanno sempre affrontato. Nel caso dei fratelli D'Innocenzo, infatti, conta più il disagio morale che non la corsa alla giustificazione verso le malefatte dei protagonisti, che scendono ogni gradino della propria abiezione accorgendosene, e mettendo in campo dubbi, timori, falso coraggio, opacità di giudizio, contraddizioni, e ovviamente sofferenze.

La prossimità al disastro, alla crisi della propria esistenza, appare come un orizzonte confermato da questo manipolo di film, come se attraverso piccole storie di sperdimento criminale in fondo si raccontasse un'Italia ormai completamente abbandonata a queste camminate sul filo precario della possibilità stessa di vivere.
Roy Menarini

La città nelle sue pieghe insondate eppure estremamente popolate è impolitica ancor prima che populista (sentimento che notoriamente in questi anni nasce nel ceto medio e non in quello proletario o periferico), e lascia sole le persone e le famiglie. La piccola criminalità costruisce soggetti, strutture, organizzazioni laddove non c'è più nulla, e che film come La terra dell'abbastanza ci sembrino ormai così credibili per una nazione come la nostra è forse il dato culturalmente più preoccupante.

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