LORO 1, UN GIOCO IRRITANTE DI CUI NON VOGLIAMO FARE A MENO

Eclettismo e liberazione di puri stimoli sonori-visuali: Sorrentino si conferma il più eclatante esponente di un cinema postmoderno che in Italia ha fatto molta fatica ad affermarsi. Al cinema.

Roy Menarini, sabato 28 aprile 2018 - Focus

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Fabrizio Bentivoglio (67 anni) 4 gennaio 1957, Milano (Italia) - Capricorno. Interpreta Santino Recchia nel film di Paolo Sorrentino Loro 1.

Un giorno dovremo deciderci a ragionare sulle epifanie di Paolo Sorrentino. Si tratta della dimensione più lacerante del suo cinema, quella destinata - in passato come in futuro - a dividere nettamente gli schieramenti dei sostenitori e dei detrattori. Se il termine "visionario" non fosse così abusato, il regista italiano lo meriterebbe a pieno titolo. Al tempo stesso, però, il ricorso incessante a forme di anti-realismo e a onirismi di ogni genere sembra costringerlo a un ruolo (assai contestato) di generatore automatico di metafore.

L'impressione è che Sorrentino trascini nei suoi film, oltre all'evidente vocabolario felliniano e autoriale, anche il catalogo di un immaginario popolare molto meno elitario di quanto si creda.
Roy Menarini

Il modello è quello della Smorfia napoletana, dove l'intera attività onirica viene classificata secondo precise equivalenze nella vita reale, dando vita a un dizionario di corrispondenze tra allegoria e letteralità che nutre il folclore campano (e non solo). Cercando dunque di invertire il cannocchiale, e dunque di spostare l'ingombrante stile sorrentiano dall'autorialità ermetica al cinema schiettamente popolare, forse si spiega qualcosa dell'ottimo rapporto con il pubblico che il regista ha sviluppato negli anni, decisamente più solido e soddisfacente di quello di tanti altri colleghi che praticano una produzione esclusiva. Anche in Loro 1 (che è certamente ingiudicabile senza la sua seconda parte) la sovrastruttura immaginaria la fa da padrone, e appare sempre più chiara l'ironia, se non l'autoironia, con cui ormai Sorrentino mette in scena il suo arsenale visionario quasi a giocare con quello che la gente si aspetta - pecorelle e rinoceronti, freak e escort, burattini, macchiette e orientalismi, e così via.

In foto una scena del film Loro 1.
In foto una scena del film Loro 1.
In foto una scena del film Loro 1.

In verità, ancora oggi Sorrentino è il più eclatante esponente di un cinema postmoderno che in Italia ha fatto molta fatica ad affermarsi. Eclettismo e liberazione di puri stimoli sonori-visuali (spesso applicati alla cronaca e alla politica per sancire una frattura insanabile tra simbolico e concreto) ne sono architrave e quelli del regista napoletano diventano quasi film-concerto dove ogni traccia di unitarietà e coerenza sembrano scomparire. Ancora più frantumato dei suoi precedenti titoli, Loro 1 pigia il pedale in tutte le direzioni, non avendo nemmeno la preoccupazione di occultare influenze molto recenti e meno autorevoli di Fellini o Antonioni - ci riferiamo alle lunghe sequenze in piscina ispirate a Spring Breakers di Harmony Korine.

E dunque, il film si risolve, o quanto meno potrebbe risolversi, in una parata divertita e divertente di forme e immagini inconsuete, momenti stranianti, micro-episodi surreali, barzellette sconce, scene irrelate, impressioni musicali e sonore ottundenti, osservazioni opache di un acquario umano osceno, esercizi di misantropia dove nemmeno la simpatia canagliesca del dandy Jep Gambardella può albergare nelle stanze del potere.
Roy Menarini

Appunto: e il potere? Loro 1 non sembra possedere, né essere interessato a un discorso complesso sul potere, almeno nella sua prima parte. Lo dimostra il fatto che gran parte dell'episodio (usiamo non a caso terminologie tipiche della serialità: The Young Pope è stato una svolta nella filmografia sorrentiniana) è dedicato alla fauna che cerca di lambire il mondo di Berlusconi, che tenta in tutti i modi di entrare in gioco e di farsi cooptare dalla corte di Lui, financo esibendosi come dirimpettai e promettendo abbondanza di servizi. E quando all'improvviso il punto di vista del candidato procacciatore viene ceduto all'interno della villa sarda dove finalmente vediamo il Cavaliere e le sue stanze private, ecco che l'Eldorado tanto ambito si rivela come una magione ricchissima ma triste, dove due coniugi stanchi cercano di recuperare un rapporto logoro e volgare. Tutti i luoghi sono quelli del cine-panettone (yacht, ville, piscine, feste, persino alcune scelte di fotografia vanno in quella direzione di piattezza cromatica) ma - con improvvisa inversione di senso - diventano attrezzi per una commedia scollacciata deluxe, secondo la provocazione appunto postmoderna di Sorrentino.

E per quanti cali di vento narrativi emergano, per quante discontinuità e insistenze alberghino in Loro 1, tutto viene perdonato, elettrizzato e scosso dall'audacia e dalla libertà di Paolo Sorrentino, l'unico regista italiano che, oltre a fare l'autore, con i suoi film commenta criticamente che cosa significa essere autori oggi. Le sue citazioni sono, contemporaneamente, sentiti omaggi e brutali autoparodie, in un gioco spesso irritante ma di cui non vogliamo in alcun caso fare a meno.

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