Il film di Spielberg, oltre che resoconto della svolta di un grande giornale, è uno studio sulle componenti della simbologia giornalistica. Al cinema.
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Sembrerà una piccolezza o un dato simpaticamente ininfluente e invece c'è qualcosa di fondamentale nel sapere che Tutti gli Uomini del Presidente, oltre ai tre Oscar per Miglior Sceneggiatura non originale, Miglior Attore non protagonista e Miglior Scenografia, vinse anche il premio per il Miglior Sonoro. È un dato di storia cinematografica che riemerge dalla memoria con logica prepotenza quando ci si accorge dell'attenzione maniacale che Steven Spielberg e il sound designer Gary Rydstrom hanno dedicato al nascondimento dei microfoni su tutte le macchine tipografiche presenti in The Post (guarda la video recensione), ottenendo un risultato non solo chirurgico e documentale ma anche complesso e intricato a livello concettuale.
Il film eccelle per la capacità di mettere in scena un'idea e una storia attraverso una coralità espressiva composta da dettagli tecnici che funzionano come "fonti non accreditate", pennellate invisibili dentro alla tela, stimoli tanto inconsci e subliminali da far annegare lo spettatore nella realtà raccontata ancor prima che questo si accorga di esserne stato immerso.
Non sarebbe strano considerare The Post come il film sul giornalismo più "giornalistico" mai realizzato nella storia del genere: non il migliore o il più appassionante e nemmeno il più profetico o il più disilluso. Semplicemente il più giornalistico e quindi il più immersivo. Perché se, nell'ordine corrispondente, Quarto Potere, Tutti gli uomini del presidente, L'asso nella manica e Insider hanno detto moltissimo attraverso questo genere, The Post dice moltissimo sia attraverso che riguardo il genere, raccontando una storia e auto analizzando le modalità con cui la racconta.
Il film, oltre che essere il resoconto della svolta di un grande giornale, è uno studio sulle componenti della simbologia giornalistica e lo dimostra la tensione affettiva con cui Spielberg riprende i passaggi di formazione della notizia: le rotative, il percorso che intraprende la stampa prima di vedere la luce e il suono delle macchine da scrivere, il tremore eccitato degli edifici quando la verità va in stampa e l'enorme scompostezza dei fogli di giornale mentre si leggono. È una presa di consapevolezza (a dir poco politica) dei significati e dei significanti che compongono l'idea della stampa.
Risulta allora comprensibile l'importanza implicita di quel sonoro, sia per Pakula che per Spielberg: il suono è una delle tracce fisiche più importanti del giornalismo, la conseguenza dell'atto fisico dello scrivere. La sua cattura è la prova di fedeltà alla storia raccontata e la lavorazione plastica di una traccia audio parallela a quella visiva non è solo il racconto sensoriale del ritmo lavorativo di una redazione giornalistica ma anche il modo in cui il film si apre allo spettatore, testimoniando che un certo tipo di cinema riesce ancora a riflettere su se stesso e a prendere al volo il reale.