The Post di Steven Spielberg e Una vita difficile di Dino Risi: storie - diverse - di giornalisti.
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Nel nuovo film di Steven Spielberg The post, Meryl Streep è Katherine Graham, proprietaria del Washington Post, e Tom Hanks è Ben Bradlee, direttore. Sono i protagonisti di un'azione coraggiosa, anzi pericolosa: divulgare alcuni documenti che rivelarono, nel 1971, l'implicazione militare americana nella guerra del Vietnam. Un'iniziativa che aveva già scoraggiato il New York Times. Ma Katherine e Ben decidono di andare fino in fondo, a fronte delle minacce dell'amministrazione Nixon, che tutto intendeva oscurare. Il Washington Post è dunque protagonista, ancora una volta, di un'azione giornalistica coraggiosa, così come nel superclassico del genere Tutti gli uomini del presidente, l'affair Watergate, che costò l'impeachment al presidente Nixon. Del 2008 è Frost/Nixon - Il duello, la famosa intervista che mise a nudo la personalità di quell'uomo così controverso. L'ultimo titolo recente, del 2015 è Il caso Spotlight che racconta l'indagine del Boston Globe sull'arcivescovo Bernard Francis Law, che aveva coperto molti casi di pedofilia avvenuti in diverse parrocchie. Titoli esemplari e importanti fra i molti. Poi c'è il giornalismo di finzione, che presenta a sua volta opere da antologia del cinema.
Quarto potere è stato, per anni, al primo posto della classifica assoluta del cinema: Orson Welles era il tycoon, fondatore di un giornale che comandava la nazione. Ne L'asso nella manica Kirk Douglas, per prolungare uno scoop, lascia che un poveretto muoia nel ventre della montagna. Anche questi sono solo alcuni titoli di una vasta agorà.
Ma la mia scelta personale cade su qualcosa di italiano. Una narrazione giornalistica magari poco convenzionale, ma tanto completa da diventare un cartello compiuto. Trattasi di Una vita difficile, di Dino Risi, del 1961. Lavorare su quel capolavoro, è stato come respirare una boccata d'aria pura.
La storia. Alberto Sordi è Silvio Magnozzi, un giornalista discretamente bislacco, comunista. Comincia con lo stilare manifesti partigiani nelle valli intorno al lago di Como. Nella Roma liberata è redattore di un piccolo quotidiano finanziato dai compagni. Corregge il titolo "Gli americani a Roma" con "Via gli americani da Roma". Si trova a Dongo a indagare sul famoso "oro di Dongo", il presunto tesoro di Mussolini e dei gerarchi. Il 2 giugno del '46 è a pranzo in casa di principi romani proprio nel momento in cui la radio annuncia la vittoria della Repubblica e divora il pasticcio di spaghetti nella costernazione generale. Scrive un pezzo trionfale.
Silvio, coerente, rifiuta. Pubblica i nomi. Ma gli costa la famiglia, che vive in una povertà desolante. Il 14 luglio del 1948, lo studente Antonio Pallante spara a Togliatti. Sicuro della rivoluzione Silvio cerca di occupare la Rai. Lo arrestano. In prigione fonda un giornalino. Uscito da Regina Caeli si arrende al sistema, accetta di lavorare per l'industriale che aveva cercato di corromperlo. Ma l'antico giornalista non molla: fa sostituire un servizio che racconta di nobili, con la cronaca dello sciopero di contadini calabresi. Il capo lo rimprovera e lo insulta. Il film finisce con lo schiaffo più bello del cinema, quando Silvio scaraventa in piscina l'industriale. A fianco della firma di quel genio di Risi, quella di un altro maestro della scrittura, Rodolfo Sonego. Qualcosa di personale: ricordo che mio padre, democristiano fervente, stravedeva per quell'Alberto Sordi dalle idee opposte. Ci può stare: "è il cinema bellezza".