Un film tragico, senza battute e senza sorrisi, per un autore ancora capace di nascondere la sua età. Al cinema.
Il tuo browser non supporta i video in HTML5.
Woody Allen merita sempre una citazione e un ragionamento. Non avrebbe più l'età dell'energia maggiore, ma ce l'ha sempre. Non credo esista, o magari sia esistito, un autore altrettanto capace di... nascondere la propria età. Ispirazione ed energia ci sono sempre, così come la capacità di cambiare genere e di rinnovare in tutti noi la bella abitudine di ritrovarcelo, corso dopo ricorso.
Il suo La ruota delle meraviglie (guarda la video recensione) è nelle sale e presenta il solito successo di pubblico e di critica. Se n'è già scritto. Trattasi di film serio, anzi, alla fine tragico, senza battute e senza sorrisi, ma non è una novità. Nei suoi 48 film in 51 anni l'autore ha esplorato registri diversi, anche se quasi sempre prevaleva la sua attitudine alla comicità intelligente. Nel 1978 pagò un tributo al suo primo ispiratore europeo, Ingmar Bergman, firmando Interiors.
Chissà da dove arriva questo equilibrio dell'ottanduenne regista, forse dalla dolorosa, - lui direbbe semplicemente "fastidiosa" - percezione che gli anni avanzano, la prospettiva si è accorciata e sì, si può ancora scherzare, ma qualche indicazione diversa, profonda, è bene darla, a se stesso e agli altri.
Il nuovo film racconta di Ginny, aspirante attrice delusa, cameriera, sposata a Humpty, manovratore di giostra. La donna si innamora di Michey, bagnino che vorrebbe fare lo scrittore, e poi ecco Carolina, figlia di primo letto di Humpty, che arriva inaspettata. Il tutto nello scenario delle giostre di Coney Island, suggestivo ed esteticamente minaccioso se i rapporti sono ambigui, le ambizioni velleitarie, i sentimenti incontrollati. Nessuno dei protagonisti avrà ciò che voleva, e ciascuno pagherà un prezzo, molto alto. L'evoluzione non è lontana dalla costante del percorso di Allen, solo che generalmente è edulcorata da contesti ricchi, educati, patinati e temperati dall'ironia. Puoi essere depresso e deluso in un superattico ma esserlo in una baracca è tutt'altra cosa. Quello della "ruota" è un mondo popolare, basico, dove quasi tutto il tempo è rubato dal lavoro e lo spazio per i sogni è quasi chiuso.
Ma è il mondo dell'America di quasi tutti. Ed è lì che questa volta l'autore va ad attingere, ma sono sicuro che col prossimo film - ne fa uno all'anno per... dimenticare la vita - tornerà all'alternanza. In questo senso mi piace rilevare i contesti delle storie di Allen. Quelle drammatiche - Match Point, Sogni e delitti, Blue Jasmine - sono dei nostri giorni, mentre l'evasione divertente vive in scenari dorati: la Costa azzurra di Magic in the Moonlight, dove la selezionata fascia dei ricchi viaggia in Rolls e ha tempo per i giochi paranormali; o in Café Society, con la Hollywood dell'età dell'oro, con le feste nelle magioni dei divi di Beverly Hills. Soprattutto, ed è esemplare della cultura e della felicità di Woody Allen, Midnight in Paris, dove la Ville Lùmière risplende nella sua epoca mitologica, gli anni venti, quando nei bistrot incontravi Hemingway e Fitzgerald, Picasso e Dalì, Cocteau e Joyce, e al piano suonava Cole Porter mentre Josephine Baker ballava la Conga.
E Allen lo può dire con cognizione di causa, perché anche lui è "artista della felicità collettiva". Ed è del tutto imperfetto. Come chi vede i suoi film. E comunque questa non è l'epoca della leggerezza e dell'evasione.
Tirando le fila, in sintesi finale dell'opera dell'ebreo di New York: qualcosa arriva sempre a complicare progetto e felicità. Il talento non è riconosciuto il giusto, gli amori ti tradiscono, le fobie ti prostrano, la religione si nasconde e l'analista non sempre sistema le cose, anzi, spesso le peggiora. Però, come dice Allen alla fine di Tutti dicono I love you, mentre ripassa la parte della sua vita matrimoniale con Goldie Hawn, adesso sposata e felice con un altro, "la vita è sbalorditiva, sì, sbalorditiva". E lui ce lo racconta da mezzo secolo. Meno male che Woody c'è.