I personaggi del film ricorrono al passato. Da qui tutta l'infelicità del mondo, superabile attraverso l'immagine di due nemici che si stringono la mano. Al cinema.
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Il 2017, oltre che anno di uscita di L'insulto, verrà anche ricordato come l'ennesimo periodo di ricaduta delle tensioni arabo-israeliane, e come il momento di una nuova destablizzazione del Libano. Si tratta di un terreno politico estremamente instabile, oltre che complicato da capire, tanto è vero che - a parte esperti e appassionati di politica estera - non ci sono molti comuni cittadini europei capaci di ricostruire a mente la storia di quel territorio.
Tuttavia c'è il passato, e su quello non si scherza. Tutto L'insulto - che comincia come una normale lite e sfocia nel rischio di una guerra civile, seguendo il consolidato schema del sassolino che si trasforma in valanga - ruota intorno all'interpretazione del passato. Il marchio d'infamia delle stragi compiute dai cristiani libanesi, alleati con Israele, viene in parte bilanciato dalla violenza indiscriminata nei villaggi da parte delle forze filo-palestinesi, e così via.
Non è di storia mediorientale, però, che vogliamo parlare. Essa ci serve perché sempre di più, nel cinema d'essai o da festival che indaga le comunità e i tessuti etnici, la storia funge da detonatore narrativo, da incubatore di passioni e da divulgatore di destini nazionali che altrimenti, a noi, giungerebbero solamente attraverso i telegiornali. Chi meglio del cinema iraniano ci ha informati e ci informa sullo stato civico e morale di quel paese? Quale medium meglio del cinema e della serialità israeliana ci ha svelato le contraddizioni sociali di Gerusalemme e Tel Aviv? Che cosa potremmo dire di sapere del nuovo conservatorismo turco se non avessimo toccato con mano e occhi le storie narrate in Mustang?
Da questo punto di vista, il rischio è che - per scelta o per censura - i film di cui sopra siano pensati per l'esportazione, e dunque che debbano giungere sul tavolo del dibattito nostrano più che essere realizzati per suscitare riflessione nel cittadino libanese, iraniano o giordano che sia (fino a sfiorare talvolta - ma non è questo il caso - l'infamante accusa di "sguardo colonialista"). Certo, dal punto di vista squisitamente cinematografico, è interessante che L'insulto vada a piantare il conflitto nel cuore stesso della famiglia, con quei due avvocati che incarnano il vecchio e il nuovo della sensibilità politica. In fondo, il problema è il non sapersi liberare della storia, e tutte le ricadute di cui abbiamo accennato all'inizio altro non sono che il risultato di generazioni che covano l'odio e lo tramandano di padre in figlio, fors'anche perché le cause dell'ingiustizia non sono state rimosse.
I personaggi dell'opera di Ziad Doueiri infatti non fanno altro che ricorrere a fotografie d'epoca, discorsi pre-registrati, filmati storici, racconti orali, simboli nazionalisti, documenti a tutti gli effetti che contribuiscono a mantenere cristallizzate le posizioni. Da qui tutta l'infelicità del mondo, superabile solamente attraverso l'immagine di due nemici che si stringono la mano.