Con Una donna fantastica l'artista potrebbe ottenere una nomination agli Oscar. Dal 19 ottobre al cinema.
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Niente funerale per Marina, lei non può entrare. Se ne vada anche fuori di casa, perché non ha diritto di abitarci. Anzi, che le si levi tutto, ogni affetto: incluso il cane. Marina è una transgender, il suo compagno è morto fra le sue braccia e la famiglia di lui non riesce ad accettarla: su queste premesse nasce il film di Sebastian Lelio, Una donna fantastica, dal 19 ottobre in sala.
Impresa non scontata per un'attrice transgender, visto che anche il cinema - che pure spesso ha raccontato la transizione sessuale in pellicole profonde e toccanti - qualche problema di trans-genere ce l'ha.
Il cinema italiano, in materia, di problemi ne ha più d'uno.
A partire dalle basi: il riconoscimento dell'identità del/della performer. Come racconta l'attrice e conduttrice Vittoria Schisano, che nel 2011 ha affrontato la transizione di genere, "il mio è un caso fortunato, perché per me l'accesso alla professione non è stato un problema: prima ero un attore, adesso sono un'attrice. Anzi, come Vittoria lavoro di più. Del resto prima dovevo fare due lavori: entrare in un mondo che non mi apparteneva, cioè quello maschile, e poi interpretare un personaggio. Ma non è così per tutte. Cominciamo col dire che si è transessuali nel momento in cui si transita da un genere all'altro. Terminato il processo, si è donna o uomo per legge, etica, morale".
Spesso, tuttavia, non lo si è per i casting. Se una performer transgender viene convocata a un provino, essenzialmente non è per interpretare un ruolo ma un genere: quello, appunto, del trans.
Anche perché quando una trans appare in un film italiano, "di solito sei la bella di turno di cui si innamora il protagonista, almeno finché non scopre che...", oppure "nove volte su dieci il trans è una prostituta. Sarebbe il caso che cominciassimo a renderci conto in Italia che a transitare sono anche dentisti, avvocati e professionisti. Ma mi rendo conto che sia molto meno pruriginoso parlarne".
Al momento non esiste nel mondo dello spettacolo italiano un'associazione in grado di difendere gli artisti transessuali dalle discriminazioni di genere: "Ma va bene così, non dobbiamo essere i primi a ghettizzarci. Io sono un'attrice, chiedo solo di fare un percorso come quello delle altre. Vorrei essere valutata per la qualità della mia arte, essere scelta solo se sono giusta per il personaggio".
Se in Italia Vittoria Schisano e Alessandra Langella (Gomorra - La serie) sono le più famose attrici ad aver transitato, altrove i nomi si moltiplicano. In prima linea quello di Daniela Vega, protagonista del film di Lelio, attrice ma anche cantante nata a Santiago del Cile: oggi volto di Apumanque, brand di moda indipendente, è stata la prima artista cilena a dichiarare apertamente la propria transizione.
Californiana, Jamie Clayton è stata lanciata dalla serie Netflix Sense8 (diretta dalla regista transgender Lana Wachowski) dopo numerose esperienze in tv come conduttrice e dopo l'esperienza da protagonista della web serie Dirty Works: nel cast di The Neon Demon di Nicolas Winding Refn è al cinema con L'uomo di neve di Tomas Alfredson.
Il tema della transizione di genere affonda le sue radici nella storia del cinema, fin dal 1927, quando, con Ecco mia moglie, Stan Laurel e Oliver Hardy portano il tema del travestimento femminile al centro della loro comica.
E se in tv l'identità trans è stata raccontata con successo dalla serie Transparent diretta per Amazon Studios da Jill Soloway, in Italia la cultura transgender è stata rappresentata negli ultimi anni al cinema da due film: Più buio di mezzanotte di Sebastiano Riso e Rito di primavera di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini.