Prodotta e diretta da David Fincher, la prima stagione della serie è un viaggio pericoloso e conturbante alle radici del male.
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Come ci si può sbarazzare dei pazzi criminali, se prima non si comprende cosa sia esattamente la pazzia? Come si può combattere un folle se si ignora in cosa consista la follia? Esistono dei pattern, degli schemi, dei modelli che si ripetono in ogni mente criminale? E cosa succede quando a uno di questi modelli viene imposta una variazione?
La questione, in un mondo che si è improvvisamente riscoperto in pericolo dopo i casi di Charles Manson e David Berkowitz, noto alle cronache come Son of Sam, non è di poco conto. L'assunto sul quale si basano le innovative teorie investigative dei due detective è semplice: studiare la mente degli psicopatici già in prigione può aiutare la polizia a prevedere le mosse dei serial killer (termine coniato proprio dal poliziotto Tench) ancora in libertà. Ma attenzione: entrare nella mente malata di un folle non è un'azione priva di conseguenze. A toccare il male, bisogna saperlo, ci si può scottare.
Tratta dal bestseller del 1996 "Mind Hunter: Inside FBI's Elite Serial Crime Unit" di Mark Olshaker e John E. Douglas, la prima stagione di MINDHUNTER è un viaggio pericoloso e conturbante alle radici del male: composta da 10 episodi distribuiti da Netflix dal 13 ottobre 2017, la serie è stata rinnovata per una seconda stagione prima ancora di andare in onda. E non solo per la materia particolarmente "calda", ma anche perché a produrre e guidarne per alcuni episodi la regia c'è uno dei registi che più ama flirtare con le menti dei serial killer, David Fincher, che dopo Seven e Zodiac torna con MINDHUNTER a cimentarsi con la materia oscura degli assassini compulsivi.
Coadiuvato da Asif Kapadia (Amy, Senna), Tobias Lindholm (A War) e Andrew Douglas (The Amityville Horror), gli altri registi chiamati a dirigere la serie, Fincher torna al piccolo schermo dopo l'esperienza da produttore di House of Cards.
Crime come Criminal Minds ma vintage come True Detective, MINDHUNTER trova la sua cifra personale nella regia di Fincher e in un cast perfettamente in parte, capace di allineare volti televisivi come quelli di Jonathan Groff (star di Glee) e Anna Torv (Fringe) ad attori più strettamente cinematografici come Holt McCallany, già con Fincher in Alien 3 (1992) e Fight Club (1999).
Girata in Pennsyilvania, la serie si avvale del contributo del music editor Jonathon Stevens, collaboratore di Fincher dai tempi di Zodiac e già al lavoro in tv su 50 episodi della serie di House of Cards.