Torna al cinema il film di Antonioni, diventato un cult per i motivi sbagliati.
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Nella storia del cinema, le mele cadono spesso lontano dall'albero. Il ricordo degli spettatori, o l'appropriazione che la cultura fa di certi film, non sempre somiglia molto al progetto originale del regista. A Blow-up di Michelangelo Antonioni - che ora torna in prima visione grazie al restauro distribuito dalla Cineteca di Bologna - è accaduto qualcosa di simile a ciò che in precedenza era successo a La dolce vita di Federico Fellini e in seguito ad American Gigolo di Paul Schrader: sono film molto complessi, e fortemente pessimisti verso i tempi in cui erano ambientati, presto divenuti poi manifesti del periodo che in realtà criticavano. La dolce vita nella testa di quasi tutti è l'illustrazione dell'irripetibile momento euforico che colse l'Italia di fine anni Cinquanta; American Gigolo è ormai universalmente considerato come l'atto di nascita degli anni Ottanta, della moda italiana, del divismo patinato, dell'immagine pubblicitaria (e non il racconto morale, ispirato a Robert Bresson, che condannava l'edonismo del periodo). Blow-up a sua volta, invece che una profonda meditazione sulla fallacia dell'immagine e sulla trasformazione di una società, è oggi il poster della Swinging London e di fine anni Sessanta.
La storia di Thomas, giovane fotografo londinese, e della sua invidiabile vita, è solo l'inizio del racconto. Il giallo che si dipana a partire dagli ingrandimenti sempre maggiori di immagini scattate pigramente, per caso, apre domande personali e universali sconcertanti. L'indagine che Thomas cerca di portare avanti, a partire dal dettaglio di una pistola e di un cadavere trovato nelle fotografie, è destinata a scontarsi con la realtà e con il torpore di una società impegnata in tutt'altre faccende. Antonioni, che trasse la sceneggiatura da un racconto di Julio Cortázar, riuscì a intuire meglio di molti colleghi inglesi ed europei, le contraddizioni di un vitalismo non sempre sorretto da tensioni etiche o morali.
Vincitore del Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes del 1967, Blow-up fu girato interamente a Londra, ed è per questo che la documentazione di mode giovanili, musica, contestazione viene considerata ancora oggi credibile e quasi "in diretta". In ogni caso questi elementi vanno a costruire un contesto antropologicamente preciso alla strana "avventura dello sguardo" di Thomas. Il tema, per Antonioni, è sempre quello: non tanto la decantata incomunicabilità (per la quale pochi anni prima veniva preso in giro dal personaggio di Vittorio Gassman in Il sorpasso di Dino Risi), quanto l'impossibilità per l'uomo e l'artista (fotografi, registi, reporter) di comprendere il mondo dentro i nuovi scenari della modernizzazione.
Certo, le interpretazioni non sono univoche e su Blow-up i critici si sono sbizzarriti: metafora dell'incipiente contestazione del Sessantotto, saggio filosofico sull'immagine, autoanalisi d'artista, thriller travestito da film d'autore (e viceversa), e altro ancora. Attenzione alle immagini iniziali, dove si capisce come Blow-up abbia avuto una certa influenza su Arancia meccanica (uscito pochi anni dopo, nel 1971), e ovviamente sul quasi omonimo Blow out (1981) di Brian De Palma.