Un flusso di coscienza in camera, 107 minuti che non nascondono nulla: il dolore, l'amarezza, e l'inconfessabile tentazione di rispondere all'odio con altro odio. Presentato al Sundance Film Festival e ora in streaming su Netflix.
Nel 1992 William Ford Jr., un ragazzo afroamericano di 24 anni che studiava per diventare poliziotto, fu ucciso con un colpo di arma da fuoco in un'officina dopo un litigio con un meccanico bianco di 19 anni, Mark Reilly. Il negozio non era lontano dalla casa dei Ford a Long Island, New York. I due uomini avevano già avuto una discussione qualche settimana prima, quando Ford, reagendo a un insulto diretto a sua madre Barbara, aveva perso le staffe, minacciando Mark e spaccando un piccolo elettrodomestico di proprietà del negozio.
Le testimonianze raccontano di una violenta discussione fra i due uomini scoppiata all'esterno del negozio e proseguita all'interno di un garage: i testimoni avrebbero perciò udito gli spari senza vedere da dove provenissero. Ford, colpito al petto, è stato portato in condizioni disperate in ospedale dove è deceduto dopo poco. Il processo, condotto da una giuria di soli bianchi, ha dichiarato Mark Reilly innocente. Il caso è chiuso.
Dietro al documentario Strong Island (dal nomignolo del quartiere a maggioranza afroamericana di Long Island), presentato al Sundance Film Festival e ora disponibile su Netflix, c'è un nome pesante: quello del fratello di William Ford, Yance Ford, che all'epoca del brutale assassinio aveva solo 19 anni. Vent'anni dopo, diventato regista, Ford ha deciso di riprendere in mano le fila di quell'evento traumatico per rappresentarlo secondo una doppia chiave: quella politica, legata alle tensioni razziali negli Stati Uniti, e quella personale, che richiama il proprio vissuto.
La storia di William Ford Junior è una tragedia che punta il dito dritto contro gli Stati Uniti di oggi, e in particolare contro una New York solo apparentemente liberal e multiculturale. Qui, infatti, erano emigrati i genitori del ragazzo, l'assistente sociale Barbara Dunmore e il macchinista William Ford, per inseguire il loro sogno da middle class dopo aver sperimentato negli anni '60, nel sud del paese, la segregazione imposta dalle leggi razziali. Ma la città si era dimostrata meno generosa di quanto la coppia credesse: prima che loro figlio venisse ucciso, sia Barbara che William avevano imparato a tenersi lontani dalla Long Island bianca, dove la loro presenza era mal tollerata.
La chiave più intima del documentario, tuttavia, è quella che travolge, coinvolge e giustifica emotivamente una ricerca durata vent'anni. Attraverso interviste, diari personali, fotografie e musica (la colonna sonora è dell'islandese Hildur Gudnadottir e del compositore scozzese Craig Sutherland), Yance introduce la sua famiglia, spiegando chi erano e chi sono diventati oggi i Ford.
Il dolore della perdita, la tristezza della madre Barbara, il lutto della famiglia e la rabbia di Yance diventano così centrali in un documentario che è anche flusso di coscienza in camera, 107 minuti che non nascondono nulla: il dolore, l'amarezza, e l'inconfessabile tentazione di rispondere all'odio con altro odio.