In Adorabile nemica, al cinema dal 4 maggio, l'attrice è protagonista assoluta e splendidamente autoreferenziale.
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Nessuna è come lei: piedi a terra e testa in aria, nota androgina e vitalità femminile, controllo comico del pathos e disposizione a incrinare la maschera. Shirley MacLaine debutta al cinema a metà degli anni Cinquanta nella commedia nera di Alfred Hitchcock (La congiura degli innocenti) rimasto orfano di Grace Kelly. Sfalsata rispetto alle pin-up sofisticate degli anni Cinquanta, indossa con insolente fotogenia il colore rosso e un carattere vulcanico che trova la sua cifra cinematografica nel 1958 sul set di Vincente Minnelli (Qualcuno verrà). Ragazza sbandata, più toccante che patetica, con Ginnie Moorehead impone un nuovo tipo di eroina, ancora bollata dagli stereotipi misogini ma piena di profonda umanità.
Irma e le sue sorelle sono l'incarnazione di un principio vitale, un fiore di strada sbocciato a dispetto della cattiveria del mondo. Praticare il vizio non impedisce alle sue eroine di continuare a credere in maniera ostinata e naïf a una vita en rose, affollata di uomini gentili e grandi amori sempre in attesa dietro l'angolo. Charity Hope Valentine la conosciamo bene, con le sue illusioni disilluse è la sorella musicale della Cabiria felliniana, che Bob Fosse abbiglia vivacemente e converte in taxi girl newyorkese dentro imprevedibili e fantasiosi momenti di danza. Negli anni i ruoli si avvicendano emergendo la stessa dolcezza, lo stesso pudore, lo stesso dolore davanti a un destino che scoraggia l'aspirazione all'innocenza. Un modello ripreso trent'anni dopo da Julia Roberts in Pretty Woman, versione bassomimetica che celebra il denaro nel momento stesso in cui ne enuncia la volgarità.
Ma le sue interpretazioni più belle dimorano nell'appartamento di Billy Wilder (L'appartamento) e nella Parigi immaginata da Alexandre Trauner (Irma la dolce). Addetta agli ascensori dall'aria triste o prostituta dal grande cuore, Shirley MacLaine è splendente nelle commedie di Wilder e davanti alla performance implacabile di Jack Lemmon. L'ingenuità dell'attore serve alla perfezione la malizia naturale di Shirley MacLaine, cinguettante in un mondo di disfacimento morale. Energia femminile incontrollabile e alla limpida ricerca della felicità, l'attrice la insegue altrettanto irriducibile sul palcoscenico di Broadway, dove i capelli troppo lunghi le sferzano il viso ad ogni pirouette. Così se li fa tagliare a scodella, trovando nel musical "Me and Juliet" il suo look definitivo. E sotto al taglio à la garçonne arde l'urgenza di un'artista versatile che canta, balla e recita con impegno perfezionistico.
Dal comico al tragico, non c'è che un percorso di passione per i suoi personaggi che qualche volta lo affrontano con tenace ottimismo e qualche altra cedono alla maldicenza con conseguenze irreversibili (Quelle due). In coppia con Audrey Hepburn e contre-emploi da William Wyler, che sceglie per il suo dramma (Quelle due) due attrici celebri per il loro talento comico e la loro giovialità, Shirley MacLaine sperimenta il registro drammatico con una disposizione altrettanto rimarchevole. Se tutti gli altri recitano, lei è reale e totalmente moderna. Attrice e ballerina americana celebre per la sua franchezza e per la sua abilità a comporre caratteri dall'eccentricità charmant che passano dal sorriso all'emozione, Shirley MacLaine cerca con la maturità ruoli di temperamento. Sovente donne impetuose dalla lingua affilata, frustrate e portate all'eccesso. Ma la maniera dell'artista trascende sempre la macchietta, rendendo le sue protagoniste empatiche e verosimili.
Da Due vite, una svolta a Voglia di tenerezza, la cui madre risoluta e compulsiva le vale il suo primo Oscar, da Cara, insopportabile Tess a Scambio d'identità, colleziona con agilità ruoli âgé alternandoli con la ricerca spirituale, la filosofia new age, la campagna elettorale a sostegno del candidato democratico George McGovern, la stesura di best-seller, i progetti sul piccolo schermo (Giovanna d'Arco, Coco Chanel).
Crudelia dall'ego che non conosce scalfiture, dai devastanti dinieghi e gli ordini impossibili, 'stella' del passato chiusa in una casa grande e immacolata che testimonia la gloria consumata con gli anni, l'Harriett di Shirley MacLaine è splendidamente autoreferenziale. È una scheggia impazzita che a tradimento si è conficcata nel (nostro) cuore. Al centro della scena, che qualche volta (purtroppo) deve condividere, domina un film di pacificazioni ironiche, in cui indoviniamo lo stesso piacere di recitare. Un piacere, il suo, senza rimorsi.