Da Battlestar Galactica a Humans, passando per Westworld: le serie sulle intelligenze artificiali.
"Nessuno al mondo ha mai visto il proprio cervello" osservava Motoko Kusanagi in Ghost in the Shell (il film d'animazione del 1995 ispirato ai manga di Masamune Shirow, non il suo remake live-action con Scarlett Johansson), donna che ha scambiato il proprio corpo con uno sintetico e la cui fede nella propria umanità vacilla.
La digitalizzazione della mente umana, riversata in un micro-chip, è proprio quello che accade in un'altra pietra miliare del cyberpunk giapponese, il manga "Battle Angel Alita", anch'esso destinato a diventare un live action firmato da Robert Rodriguez e James Cameron.
Non avere quell'organo a conferma della propria natura lascia solo ai ricordi e alle reazioni l'avvaloramento della nostra umanità, ma è una riprova confutabile. Nella serie Humans (attualmente su TIMvision con la seconda stagione) alcuni androidi amano, hanno memorie e vivono esperienze esattamente come gli umani quasi a insinuare che, senza quella prova, le possibilità di essere una macchina o un uomo sono le stesse.
I film e le serie tv, ispirati o meno a opere letterarie, hanno contribuito a costruire un universo tutto sommato coerente nel quale regole distinte informano storie e personaggi postumani. In questa realtà futuristica, l'eventualità che il cyborg Motoko non sia mai stata umana, che i suoi ricordi siano innesti e pertanto sia sempre stata una macchina è plausibile quanto la possibilità che gli androidi costruiti dal Professor Elster di Humans (e dotati di un processore, non di un cervello) siano umani, tanto la loro capacità di esperire compete con la nostra.
La loro condizione riguarda tutti gli esemplari con l'eccezione di un unico ibrido uomo-macchina (Leo) e un piccolo gruppo di androidi senzienti, in fuga. Le analogie con precedenti forme di schiavismo sono evidenti, ma Humans si sofferma anche su altre questioni, come quali qualità presuppongano l'umanità. A differenza della Motoko di Ghost in The Shell, il cui corpo meccanico - incapace di trasmetterle sensazioni - crea una frattura con la sua umanità, per Mia e gli altri synth coscienti questa è influenzata dai sensi quanto dai sentimenti.
Di recente debutto (a fine 2016, su Sky Atlantic), Westworld trae ispirazione da Il mondo dei robot, pellicola cult anni '70 di Michael Crichton ambientata in un parco a tema dove gli esseri umani possono sfogare i propri istinti - anche i più violenti - su androidi programmati per far vivere avventure simulate agli ospiti paganti. Se i synth devono la propria autocoscienza a un software in grado di innescarla, in Westworld questa può sorgere spontaneamente. I robot del parco vengono riparati e riciclati anno dopo anno, la loro memoria sovrascritta ripetutamente per trasformarli di volta in volta in personaggi diversi al servizio di una trama studiata per il massimo intrattenimento degli uomini. La cancellazione, tuttavia, non è perfetta e i ricordi e gli spettri di vite passate infestano le menti di queste bambole meccaniche, facendole impazzire.
L'osservazione di Motoko sul fatto che non possiamo tenere in mano la prova della nostra umanità si fa ancora più pertinente.
Se in Humans la differenza tra coscienza simulata e non è sfuggente, in Westworld determina la differenza tra umano e non umano. Un androide può credersi autocosciente e non esserlo, e scambiare una sequenza di comportamenti programmati per libero arbitrio. In Westworld solo il dolore - un immenso, devastante trauma (e il suo ricordo) - può innescare una coscienza autentica in questi replicanti.
Prima di Westworld lo sceneggiatore Jonathan Nolan ha realizzato per il piccolo schermo Person of Interest (2011-2016), serie incentrata su un'intelligenza artificiale concepita per prevenire attacchi terroristici.
Il mancato procedimento ha come conseguenza la manifestazione di un imprinting della Macchina verso le persone che vede più spesso. Finch, dal canto suo, evita ogni forma di attaccamento paterno (non le dà un nome, per esempio), ma l'A.I. diventa lo stesso senziente. Per Nolan, questo processo è inevitabile; di più, secondo lui a un'intelligenza artificiale non servono i sensi e un corpo per innescare quel processo, a definire l'umanità è lo spirito di sacrificio, ovvero la scelta di andare contro il principio di autoconservazione per salvare il prossimo.
Ciascuna di queste serie si focalizza su esseri artificiali senzienti senza ridurre la definizione di umanità a una questione etica: "essere buoni" (gentili, servizievoli, ingenui, altruisti) non vuol dire essere umani. Grazie alla serie cult Battlestar Galactica (2003-2009) e al suo spinoff Caprica (2010) la riflessione sulle intelligenze artificiali in tv si è avventurata nei meandri delle speculazioni più ardite. I cyloni che vogliono annientare l'umanità sono indistinguibili dalla specie che desiderano annichilire; crudeli ed empatici, lussuriosi e sadici, manipolatori e manipolati, sono una razza intelligente sviluppatasi parallelamente a un'altra e in lotta per il primato. Così come il grande schermo, parallelamente al piccolo, negli ultimi anni ha ospitato film (vedi Automata e Ex Machina, Humandroid e il citato remake di Ghost in the Shell) incentrati sull'autocoscienza delle intelligenze artificiali e su cosa determini l'umanità, così la tv ha saputo tenere il passo e, a volte, superarlo.