THE RING 3, UN QUASI REMAKE AMBIENTATO AL GIORNO D'OGGI

Il film è girato ad arte e raccontato bene. Ma cosa sarebbe successo se il VHS fosse stato sostituito da Youtube o da Facebook?

Elena Magnani, vincitrice del Premio Scrivere di Cinema, lunedì 20 marzo 2017 - Scrivere di Cinema

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Dodici anni dopo The Ring 2, ritorna al cinema la saga terrificante di Samara e della sua maledizione, che si compie sette giorni dopo aver visto una misteriosa videocassetta. Buona parte della fortuna dei primi due capitoli si era dovuta soprattutto a quel VHS: un mezzo per i tempi ancora discretamente nuovo e che - come tutte le novità - suscitava profonde e inconfessabili inquietudini. Come l'idea che, una volta inserito nel videoregistratore, non si potesse più tornare indietro; che le immagini sullo schermo fossero capaci di tradursi in avvenimenti concreti, reali, tridimensionali; persino che una bambina potesse uscire dal televisore di casa tua e ucciderti. L'eterna preoccupazione, insomma, di una tecnologia che ci sfugga dalle mani, di un passo troppo grande per la gamba e dal quale non si torna più indietro. E così, in questi dodici anni, Samara è uscita davvero dal televisore.

The Ring è diventato un piccolo cult degli anni 2000 e lei un personaggio dell'immaginario comune, onnipresente negli scherzi telefonici - "sette giorni!" - e nelle storie di paura. A modo suo, è riuscita a mantenersi in vita, in attesa di un grande ritorno. Ma in questi dodici anni, con l'avvento dei dvd e dei file online, sono cambiate molte cose.
Elena Magnani

Gabriel, professore universitario di biologia, trova al mercato delle pulci un vecchio registratore. "Una volta questo era considerato un grande passo nel progresso scientifico", dice con una sorta di nostalgia. Il ragazzo che lo possedeva è morto in un incidente e la cassetta è ancora inserita, con l'etichetta "Watch me". E Gabriel lo guarda. Il video è quello di Samara, il cellulare squilla e l'anello (the ring) ricomincia. Se non fosse che, scoperto che basta condividerlo per liberarsi dalla maledizione, Gabriel dà subito inizio a una reazione a catena di "code" che si passano il filmato, che finisce per coinvolgere un numero sempre più grande di persone: amici, colleghi, sconosciuti, fino a uno dei suoi studenti, Holt, e la sua fidanzata Julia. Così dal vecchio, misterioso VHS si passa al surplus di video virali che circolano oggi in rete: la nuova angoscia moderna, la facilità con cui si guarda e si condivide.

Del resto le paure dei primi anni 2000, per quanto ora un videoregistratore ci faccia un po' ridere, non sembrano poi così ingiustificate: il nostro è diventato davvero un mondo in cui gli strumenti di cui disponiamo - i telefoni, i computer, le televisioni, i droni - sembrano poter migliorare senza sosta e senza il bisogno della nostra comprensione. Senza bisogno di noi. Nella nostra ignoranza sui meccanismi di un'industria sempre in evoluzione sono cresciute piano piano le nostre nuove superstizioni; le macchine che lavorano al posto nostro, la schiavitù della popolarità sui social, i mezzi potentissimi di misteriose organizzazioni che vorrebbero controllarci. Sembravano previsioni di catastrofi simili a quelle dei vecchi libri di fantascienza e invece, oggi, sono preoccupazioni comuni, profonde, frasi che sentiamo ripetere in ogni dove.

Per la saga di The Ring, che dava voce proprio a questi mostri dentro di noi, si trattava dell'occasione perfetta per riannidarsi in fondo alle nostre coscienze. Tanto più se sommate a un'altra questione fondamentale: il flusso di informazioni.
Elena Magnani

Filmati, immagini, notizie che circolano in rete e che ci influenzano invece di essere influenzati da noi. Un flusso di cui ignoriamo l'origine e spesso il significato, ma che a nostra volta rigiriamo, inviamo, condividiamo con un numero sempre più grande di persone, finendo per smarrirci noi stessi. Nel labirinto di Internet un video come quello di Samara sarebbe, potenzialmente, capace di ucciderci tutti. Non saremmo in grado di distinguerlo da tutti gli altri filmati che vediamo regolarmente pubblicati sui social, con titoli gonfiati per fare clickbait e immagini inquietanti che vogliono catturare la nostra attenzione.

In The Ring 3, alla fine, Holt cerca di fermare il computer che sta inviando il video a tutti i suoi contatti mail: ma quanto sembra probabile che davvero, tra tutti i mezzi di condivisione di cui si dispone oggi, uno spirito diabolico scelga proprio le mail? Che film sarebbe stato The Ring 3 se il video fosse comparso su Youtube, o come virus informatico, o come innocente link su Facebook?

Purtroppo The Ring 3 si serve della tecnologia solo per rendere credibile l'ambientazione moderna, troppo preoccupato di correre subito a riproporre gli altri elementi - già visti - della saga: il video (che, dopo il primo film, non spaventa più), il passato di Samara (nel caso non fosse stato già scabroso abbastanza) e la questione della coscienza (copiare il video e salvarsi, condannando gli altri: un simbolico memento della natura egoistica della sopravvivenza).

The Ring 3 insomma si propone come un quasi-remake, una ambientazione in tempi moderni della stessa favola. Girata ad arte e raccontata bene, sia dal punto visivo che da quello narrativo. Ma che non è abbastanza: perché manca la forza sottile e feroce dei capitoli precedenti, quella che toccava le corde profonde delle nostre paure. E soprattutto perché non si pronuncia sul suo mezzo portante, il medium visivo, il contenuto che guardiamo e quello che facciamo guardare.

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