Il film di Melfi, ora in sala, conferma come la settima arte stia assumendo sempre di più il ruolo di autorità discorsiva per fasi della storia del Novecento che necessitano di essere ricordate e divulgate.
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Sempre di più il cinema sta assumendo il ruolo di autorità discorsiva per fasi della storia del Novecento che necessitano di essere ricordate e divulgate. È davvero sorprendente questa fiducia che la società ha ormai accordato alla settima arte, quella cioè di salvare il pubblico occidentale dal proliferare incontrollato delle false verità, che di volta in volta prendono il nome di fake news, post-verità o, più semplicemente, bufale.
E invece, proprio quando il mondo è attraversato da tensioni imprevedibili, che pensavamo di aver archiviato da tempo, ora al cinema è richiesto e demandato il ruolo di ricostruzione delle conquiste storiche e di riscatto per biografie nascoste dalle ingiustizie storiografiche. Il preambolo serve a collocare nel giusto contesto un film come Il diritto di contare, che è stato considerato fin troppo buonista, anche se mette in scena con una certa accuratezza e precisione, lo stato di permanente razzismo delle regioni del sud degli Stati Uniti (la Virginia in questo caso) negli anni Sessanta.
Attribuire il giusto merito alle donne afroamericane che furono parte fondamentale della corsa allo spazio è ovviamente cosa buona e giusta, caso mai ad essere sotto osservazione è la veste - molto classica e narrativamente trasparente - che è stata scelta. Cinema didattico, pedagogico, un volume di storia trasformato in film grazie a personaggi gradevoli e comprimari di lusso (se non fosse stato un film così intriso di cultura nera e riscatto black, una candidatura a Kevin Costner sarebbe probabilmente arrivata).
Inoltre, l'ondata di film dedicati alla storia e alle storie degli afroamericani statunitensi - chiaramente originata dalle proteste degli ultimi anni, e dal nuovo bisogno di legittimazione socioculturale della comunità nera - comincia a diventare troppo rilevante per non tenerne conto. Il rischio, come al solito, è che essi comunichino solo a un gruppo di spettatori democratici, già consci di quello che il percorso dei diritti civili ha conquistato (e ora drammaticamente consapevoli anche del fatto che, una volta ottenuti, i diritti potrebbero nuovamente vacillare). Ma questa idea che il cinema possa essere il mezzo più popolare, utile, autorevole, carismatico, legittimo per raggiungere un grande numero di persone e fornire loro esempi narrativi di quanto avvenuto in passato, rimane un fatto di grande suggestione. Sarà interessante analizzare quanto di questa spinta biografica e di trasmissione storica rimarrà nel dibattito pubblico e quanto sarà invece archiviato come semplice fase del cinema contemporaneo americano.