Godard traspose un romanzo di Moravia che non amava molto, e ne trasse un'opera epocale. Al cinema in versione restaurata.
Il tuo browser non supporta i video in HTML5.
Al suo sesto lungometraggio, Godard con Il disprezzo forse non immaginava di girare un film epocale, letteralmente un'opera-mito che sarebbe poi stata saccheggiata in tutti i modi negli anni a venire. Tra i molti film-nel-film della storia del cinema - Il disprezzo è coetaneo di 8 ½ ma non potrebbero esistere due pellicole più diverse, né due registi più inconciliabili di Godard e Fellini - questo è certamente il meno retorico, il più sincero, quello che "dice la verità" su come funziona la settima arte.
Godard trasse la storia da un romanzo di Moravia che non amava molto (e lo scrittore italiano, saputolo, se la prese). Nelle sue mani, diviene subito il pretesto per uno dei suoi racconti più narrativi: la storia di uno sceneggiatore, di un produttore, di un regista e di un'attrice bellissima, dove il paesaggio mediterraneo offre un sontuoso contrasto alla volgarità del mondo cinematografico e all'amarezza della fine di una coppia.
Si sbaglierebbe a prendere Il disprezzo come una sarabanda di citazioni (a cominciare dalla citazione vivente: Fritz Lang nei panni i sé stesso) con i moltissimi manifesti di film che sbucano uno dopo l'altro. Il regista sta anche raccontando qualcosa dell'immaginario, del grande schermo, del divismo, del modernismo e di ciò che si poteva fare o non fare nel contesto del cinema d'arte europeo e del costoso cinema hollywoodiano. Del resto, oggi non si può capire la parodia della tronfia Odissea moderna che i protagonisti realizzano, senza aver presente certi kolossal di inizio anni Sessanta, pensati poco prima della New Hollywood.
Questo il racconto di Godard, che in qualche modo scagionava il celebre finanziatore italiano: "Ho mostrato il film a Ponti. Gli è piaciuto, l'ha trovato un po' più normale di quello che faccio di solito. Ma questo non era anche il parere degli americani: 'È molto artistico - hanno dichiarato più tardi a Parigi - ma non è commerciale e bisogna cambiarlo'. Ponti mi ha chiesto allora di aggiungere una scena, non sapeva come dovesse essere, io nemmeno, semplicemente non potevo e gli ho detto: 'Ritiro la mia firma e fate ciò che volete'."
Insomma, una storia travagliata, per un film molto libero, molto sorprendente, e inatteso come è stato sempre Godard, persino ora che viene preso per un autore di avanguardia non distribuibile (o quasi). E anche un monumento a Brigitte Bardot. La diva, scocciata di essere considerata solo un volto e un corpo da sogno, aveva bisogno di Godard, che le cucì addosso una sorta di meta-personaggio, una figura che è sé stessa senza esserlo veramente. Non sarà un caso se oggi è il suo sguardo a fungere da guida al nostro rivedere Il disprezzo con gli occhi contemporanei, pronti a illuderci di nuovo che quel cinema e quel divismo siano ancora possibili.