Mel Gibson è riuscito a girare un film non pacifista su un pacifista, un film di violenza biblica su un uomo che rifiuta la violenza, un film eroico su un quasi suicida. Al cinema.
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In un orizzonte hollywoodiano che rischia il conformismo anche (e soprattutto) quando affronta pigramente i temi dell'agenda sociale più democratica - dal razzismo alla questione femminile - film come La battaglia di Hacksaw Ridge o la stessa presenza del cinema di Mel Gibson appaiono come un regalo stupefacente.
Nascosto nelle forme di un cinema di guerra nostalgico e squadrato, tagliato con l'accetta del feuilleton e dipinto come un film di George Stevens degli anni Cinquanta, il progetto visionario di Gibson in verità è una sorta di folle convivenza di opposti.
Proprio l'apparente classicità di La battaglia di Hacksaw Ridge serve a mitigare da una parte la furia delle sequenze di battaglia (e dire che con Salvate il soldato Ryan - sorta di specchio riflesso di questo film - pensavamo di averle viste quasi tutte), e dall'altra la paradossale vicenda dell'eroe. A differenza di La legge del signore, dove il quacchero Giosuè decide di andare in battaglia trasgredendo le regole della sua religione, e diversamente da Il sergente York, dove il tiratore scelto comprendeva che sparare al nemico avrebbe accontentato Dio e il Vangelo salvando vite umane (opera ben presente nella testa di Clint Eastwood per il suo American Sniper, e citata anche dal solito Spielberg), Desmond Doss va fino in fondo e non spara un colpo.
Come Mel Gibson sia riuscito a girare un film non pacifista su un pacifista, un film di violenza biblica su un uomo che rifiuta la violenza, un film eroico su un quasi suicida, un film irrazionale su una persona che sa razionalmente misurare fino a dove si deve spingere il proprio credo, è forse l'impresa più cinematograficamente appagante dell'anno.
Certamente più spettacolare dell'intimo, doloroso capolavoro di Scorsese, il film di Gibson può puntare a una platea decisamente più ampia, mantenendo una sorta di fedeltà agli ideali del regista pur dentro logiche di compromesso spettacolare che riescono a esaltare ancora di più il gesto autoriale. Si era detto, di La passione di Cristo o Apocalypto, che fossero film a loro modo isolati, che parlassero per puro caso a un pubblico inorridito e al tempo stesso affascinato dal sadismo della storia antica.
Ora, con La battaglia di Hacksaw Ridge, scopriamo che forse le ossessioni di Gibson covano sotto la cenere di un pezzo di Hollywood, percorrono un immaginario troppo spesso incatenato dalle logiche produttive o dalle presunte correttezze politiche, scuotono un pubblico che proprio in questi mesi (Trump, certo, ma anche la drammatica escalation di violenze interetniche dell'ultimo anno di Obama) vive una realtà assai meno stereotipata di quanto si creda.
E il tanto discusso ritorno della Storia, nell'altrettanto paventata era del ritorno dei fantasmi del passato, forse non è del tutto estraneo al cinema che sta emergendo in questi anni, da American Sniper a Hell or High Water, dai western "razziali" di Quentin Tarantino a Fury.