La terza stagione debutta con sei episodi antologici incentrati sul rapporto tra tecnologia e umanità.
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Ieri è oggi, oggi è domani: la terza stagione di Black Mirror debutta con sei episodi antologici su Netflix (di nuovo) incentrati sul rapporto tra tecnologia e umanità.
È terrificante, avvilente, angosciante ma, dal primo all'ultimo episodio, è altrettanto evidenziato che questi sono solo strumenti: alla fine, sempre e comunque, il diritto di scegliere, di aderire, di sottostare o di ribellarsi e cambiare (noi stessi e le cose) resta a noi.
Black Mirror esordisce sulla britannica Channel 4, un canale che, miracolosamente, non ha mai sbagliato un colpo nella produzione seriale - da This is England a Shameless, da Devil's Whore a IT Crowd, da Misfits a Skins -, sempre rispettando quell'autorialità forte e creativamente indipendente che caratterizza gli show inglesi. Ne è creatore Charlie Brooker, che firma la stragrande maggioranza delle sceneggiature, scegliendo situazioni verosimili nel presente: una società determinata dalle interazioni via social; le insidie della rete e l'influenza che il giudizio e l'odio esercitano sui singoli; videogame e VR sempre più realistici che si adattano all'intelletto del giocatore.
Nosedive, Hated in the Nation e Shut Up and Dance sono accomunate dall'ossessione dell'opinione altrui scaturita in rete e dalla focalizzazione sulla pochezza morale di vittime e carnefici.
Nosedive è la messa in scena grottesca di un futuro imminente dominato dalle "valutazioni": ognuno dà un voto al prossimo e lo riceve, contribuendo a una media individuale che condiziona economicamente e socialmente l'esistenza della protagonista, Lacie, e di chi la circonda. Diretto dal Joe Wright di Hanna ed Espiazione, fa da monito a quelle generazioni che già adesso e su base quotidiana bramano tanto il plauso e l'accondiscendenza altrui da diventarne schiave: quale posa per il selfie o quale status mi farà conquistare più "like"?
Hated in the Nation, episodio della durata di un'ora e mezza, mette in guardia sul legame, sempre più stretto ed esasperato, tra opinione pubblica, social e conseguenze nella realtà. L'interattività concede una voce a tutti, a chi critica nascondendosi dietro l'anonimato della rete, a chi ignora le conseguenze della violenza verbale, a chi con la tastiera in mano è un leone e senza un agnello. Kelly McDonald fa coppia con Faye Marsay, rispettivamente poliziotta ed esperta informatica di stanza a Londra, indagando sulla morte di alcune figure al centro dell'attenzione dei media e realizzando gradualmente le proporzioni di un fenomeno di processo e sentenza sommari pericolosamente attuale. Di nuovo, la visibilità virtuale può rendere la "vita vera" inferno o paradiso, il verdetto affidato a una massa informe di giudici anonimi. Finché tocca a loro venire giudicati.
In Messaggio al primo ministro la scabrosa curiosità della gente informava l'episodio più angosciante e socialmente opprimente della serie. Shut Up and Dance evoca il terrore attanagliante di venire scandagliati, messi alla berlina, "scoperti".
Non è il solo, anche Hector (Jerome Flynn, il Bronn de Il trono di spade) è similmente coinvolto: età, estrazione sociale e indole non contano, ma solo chi ha il coltello dalla parte del manico e può rovinarti con una verità scomoda.
Un altro tipo di paura, totalmente sganciata dalla realtà esteriore e dai rapporti sociali, è al centro di Playtest, agghiacciante tour in un videogioco horror incredibilmente realistico. Come beta tester dell'innovativo game viene selezionato Cooper, adrenalina-dipendente, sventato e curioso giovanotto che accetta di farsi un giro tra i livelli di un'avventura da brivido. Il viaggio di Cooper è tutto nella testa del protagonista; il regista Dan Trachtenberg di 10 Cloverfield Lane scava nella psiche e analizza gli schemi della paura, le sue origini e come questa venga processata dalla mente. Anche in Men Against Fire, dove una manciata di soldati è coinvolta nella guerriglia contro raccapriccianti mutanti, la ricerca si concentra sul cervello umano, indagando i modi attraverso i quali processiamo la realtà e la modifichiamo con la nostra soggettività. In Men Against Fire si distingue l'australiana Sarah Snook di Predestination, membro di un variegato cast che unisce britannici, americani, canadesi in un crocevia di accenti che ricorda quanto, ormai, siamo tutti vittima dello stesso destino.
La realtà alienante messa in scena da Black Mirror è vicina, possibile, in alcuni casi è già "qui", e spaventa moltissimo, ma sempre suggerisce che la tecnologia è buona o cattiva a seconda dell'uso, ricordando come dalla parte dell'uomo ci sia il libero arbitrio.
L'imbranata Yorkie, concentrato di tutte le adolescenti outsider dei teen movie di John Hughes, si avvicina alla briosa vita notturna locale decisa a fare esperienze e a formarsi un'identità: femme fatale con chignon e trucco audace sulle note di Addicted to Love, o bella in rosa con il vestitino di Ally Sheedy in Breakfast Club sulle note di Don't You?. Naturalmente, l'elemento tecnologico c'è ma non si vede, perché la tecnologia usata saggiamente, quella al servizio dell'uomo che ne migliora la vita, non prende il sopravvento e condiziona ma, invisibile, accompagna con discrezione (sulle note di Heaven Is a Place on Earth). Basta saperla usare.