QUANDO HAI 17 ANNI, LA 'VERITÀ' DEL FILM È NELLA MESSA IN SCENA

Spesso si crede che i processi di messa in scena contino meno della storia narrata. Ma sono proprio questi a donare autenticità.

Roy Menarini, sabato 8 ottobre 2016 - Focus

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In foto Sandrine Kiberlain, protagonista del film Quando hai 17 anni di André Techiné, dal 6 ottobre al cinema.

Che cosa intendiamo affermando che un film è "vero", o "autentico"? Si tratta di una delle formule più usate dagli spettatori per spiegare il proprio coinvolgimento in una storia, per controbattere a un interlocutore poco convinto della bontà di una pellicola, per far capire si è "creduto" all'universo di finzione creato dal regista. Si tratta del resto di una delle più antiche forme di valutazione estetica, anzi per secoli si è giudicata l'arte a partire dalla sua somiglianza con la realtà rappresentata. Oggi, che abbiamo strumenti più raffinati, come possiamo valutare questa autenticità (o al contrario la sensazione di artefatto e insincerità di altre opere)?

Prendiamo Quando hai 17 anni del maestro André Techiné - un regista che si è sentito dire spesso (e a ragione) di aver girato film veri, con personaggi genuini. Coloro che hanno apprezzato il film, compresi molti critici, hanno insistito sulla credibilità dei due adolescenti, al tempo stesso subissati dal tumulto della loro età e messi a confronto con pulsioni talvolta poco confessabili. Ci basta? È sufficiente pensare che si tratti di una capacità dovuta alla penna intelligente di Céline Sciamma (sceneggiatrice e regista a sua volta) e alla comprovata esperienza di Techiné nel ritrarre momenti di passaggio della vita (come in L'età acerba o Alice e Martin)?
Roy Menarini

Tutto questo ovviamente esiste, eppure non possiamo attribuire a un mero processo di costruzione del personaggio né a un preteso "savoir vivre" di certi autori la loro acutezza di sguardo. La risposta si trova, come spesso accade, nei dettagli. Per quanto molte persone pensino che i processi di messa in scena contino meno della storia narrata, sono proprio quelli a donare la sensazione di autenticità.

In foto una scena del film Quando hai 17 anni.
In foto una scena del film Quando hai 17 anni.
In foto una scena del film Quando hai 17 anni.

E, se continuiamo a prendere come esempio proprio Quando hai 17 anni, dobbiamo assegnare a tanti piccoli particolari il successo del racconto: ovviamente la recitazione molto fisica e reattiva dei due giovani attori, ma anche la pregnanza degli altri volti e degli altri corpi; l'originalità dell'ambientazione in montagna, dove la presenza della neve (che impasta la camminata e ingolfa i percorsi) sembra quasi tattile agli occhi dello spettatore; l'attribuzione di qualità e difetti specifici a ogni personaggio, per esempio le abilità da cuoco di Damien e i fondamenti della vita da allevatore conosciuti da Tom; la precisione dei singoli ambienti, a cominciare dall'arredamento delle abitazioni delle due famiglie, divise da pochi chilometri ma più di uno strato sociale. E così via, arrivando anche alle minuzie più tecniche, dalla verosimiglianza dei suoni prodotti dai rumoristi alla scelta dell'abbigliamento (antropologicamente impeccabili le felpe aperte del caracollante Damien).

Visto che spesso si lamenta la fragilità del cinema italiano rispetto alla forza evocativa ed emotiva dei corrispettivi drammi cinematografici transalpini, forse bisognerebbe insistere di più sulla messa in scena.
Roy Menarini

Le operazioni di scrittura, sacrosante, sono solo la prima parte del processo creativo (inevitabilmente, ancora quella su cui si decide se il film si fa o meno, e se verrà finanziato). Al momento di girare, però, inizia un'altra partita. Ed è in questa che spesso nasce quella particolare "verità" cui noi amiamo credere quando andiamo al cinema.

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