TERRY GILLIAM E LA MALEDIZIONE DI DON CHISCIOTTE

Il regista ha dichiarato a Cannes: «Farò il Don Chisciotte». Sono diciassette anni che lavora al progetto maledetto.

Pino Farinotti, domenica 29 maggio 2016 - Focus
In foto il regista Terry Gilliam.

A Cannes il regista Terry Gilliam ha fatto una dichiarazione impegnativa. Dal mio punto di vista è la novità più interessante emersa in quella mostra così discussa e controversa: "Farò il Don Chisciotte". L'affermazione è importante, magari pericolosa, perché quel titolo si porta dietro una maledizione simile a quella di Tutankhamon: guai toccarlo.

Sono diciassette anni che Gilliam lavora al progetto. C'è persino un documentario, Lost in la Mancha, che testimonia i disastri della preparazione del film. Un set davvero maledetto.
Pino Farinotti

Il regista non ha voluto dare alcuna notizia. Forse sarà una storia aderente al testo di Cervantes, forse sarà una metafora dei nostri giorni. Tutti "forse". Si conosce qualcosa del cast: Adam Driver, giovane hollywoodiano emergente, sarà l'hidalgo, sostituirà Johnny Depp, che era la prima, superata opzione. Molto larga la produzione, davvero europea: Francia, Spagna, Portogallo e Belgio. In attesa di vedere il film che, forse, sarà presentato a Cannes nel 2017, vale la pena di tracciare una storia del Don Chisciotte.

È dunque vero che una certa maledizione se la porta dietro da sempre. E c'è un altro dato: nessuna delle versioni in cinema, è all'altezza del master letterario. Una digressione opportuna: una fondazione russa, intitolata a Lev Tostoj, nel 2010, in occasione della celebrazione della sua morte ha decretato che i Magnifici Sette della letteratura di ogni tempo sono: Dante, Shakespeare, Cervantes, Goethe, Hugo, Joyce, Tolstoj. Non c'è alcun dubbio che si tratti di giganti. Ed è benemerita la selezione, anzi, coraggiosa, perché non è davvero facile assumersi responsabilità così assolute. C'è sempre l'aspetto dei... dimenticati. E uno, di getto, certo si fa ricordare, un greco che oltre trenta secoli fa aveva già tutto compreso, assunto e raccontato. Detto questo: Cervantes. Rispetto ai magnifici sette, se devo esprimere un assoluto, nel senso un unicum, sempre nel concetto dell'arbitrio e del coraggio, scelgo Miguel de Cervantes. E il suo "Fantastico cavaliere Don Chisciotte della Mancha". La domanda sarebbe, "Ma come, lo anteponi a uno Shakespeare?". Il Bardo ha esplorato tutto, nella qualità che sappiamo, tanto che non è identificabile in una sola opera. È una sorta di sacra scrittura laica omnicomprensiva. Cervantes significa soprattutto il "Don Chisciotte". Ma trattasi di opera che oltrepassa il suo tempo (1605/1615) e non soltanto rispetto al passaggio dal Rinascimento al Barocco. Nella storia del povero hidalgo che finisce per credersi un eroe che cambierà il mondo, lo scrittore di Spagna scova qualcosa che sorpassa la grazia, uno scatto quasi sovrumano nel tempo: la fantasia, il sogno, il mistero dell'ignoto, la pazzia, il recondito portato in superficie. Surrealismo e psicoanalisi trecento anni prima. Unico

Un'immagine tratta da Lost in La Mancha (2002) di Terry Gilliam.
Terry Gilliam e Jean Rochefort durante le riprese di Lost in La Mancha (2002).
Johnny Depp in Lost in La Mancha (2002) di Terry Gilliam.

Sono molte le rappresentazioni del Don Chisciotte, anche se nessuna, come detto, memorabile. Ci ha provato un maestro autentico della fase espressionista, Pabst, primi anni trenta, facendosi distrarre però dall'estetica, dall'espressionismo appunto, a scapito dei contenuti, dei grandi significati e metafore dell'opera composta dall'autor. Di media qualità è anche L'uomo della Mancha, di Arthur Hiller con Peter O'Toole. Prende spunto dal musical di Dale Wasserman. Poco memorabile e poco a che fare con la nobiltà dell'originale. Una citazione per la magnifica fotografia del nostro Rotunno.

C'è un Don Chisciotte all'altezza, ma è un incompiuto. Non do-vrebbe esistere. Lo si deve a Orson Welles. Il "genio" volle che l'opera di quel pazzo di Cervantes, nel quale in un certo senso si identificava gli appartenesse completamente, amandola e odiandola in assoluto.
Pino Farinotti

Si applicò al progetto per quattordici anni, da solo, senza assistenti, girando il mondo e fotografando reggendo la camera sulla spalla. Il genio pazzo dell'autore lo portò a nutrire una delle sue logiche incomprensibili. Non riuscì mai ed essere soddisfatto della sequenza finale, dove l'esplosione della bomba H avrebbe distrutto tutto e tutti, salvo don Chisciotte e il suo assistente Sancho Panza. Jess Franco, collaboratore di Welles ha montato la pellicola a modo suo. Non ha neppure cercato di entrare nella testa del maestro, sapeva che non ci sarebbe mai riuscito. Rimane un'ipotesi strana, del tutto wellesiana: che il genio volesse essere l'unico spettatore del proprio film. Immaginando, sognando dunque la fine, senza bisogno di girarla. Per questo ho scritto sopra che il Don Chisciotte di Orson Welles non dovrebbe esistere.
E adesso... stiamo in attesa.

Peter O'Toole in L'uomo della Mancha (1972) di Arthur Hiller.
Il Don Chisciotte (1964) di Orson Welles.
Il Don Chisciotte (1964) di Orson Welles.
ALTRE NEWS CORRELATE
FOCUS
Pino Farinotti - lunedì 23 settembre 2024
Una riflessione a partire da On the Road di Walter Salles, tratto dal romanzo capolavoro di Jack Kerouac. Di Pino Farinotti. Vai all'articolo »
FOCUS
Claudia Catalli - lunedì 23 settembre 2024
Il nuovo film di Michael Zampino è liberamente ispirato al romanzo "Laghat, il cavallo normalmente diverso" di Enrico Querci. Una visita sul set. Vai all'articolo »
FOCUS
Simone Emiliani - martedì 24 settembre 2024
Un grandissimo sequel del film del 2019, profondamente intrecciato alla contemporaneità ma capace di dialogare col cinema classico. Dal 2 ottobre al cinema. Vai all'articolo »