La storia della partita del '73 tra la giovane tennista King e l'ex campione in pensione Riggs. Dal 19 ottobre al cinema.
di Claudia Catalli
Ci sono film che hanno la capacità di raccontare un tempo, restituendone fedelmente atmosfere e problematiche. Quando sono ben scritti, interpretati, diretti - in una parola realizzati -, riescono a valicare i confini del tempo e dello spazio e risultare sempre attuali, se non addirittura universali.
È senz'altro il caso di La battaglia dei sessi, sulla carta 'solo' un film incentrato sulla fatidica partita di tennis 'uomo contro donna' del 20 settembre 1973 in un momento cruciale di rivendicazioni femministe, lotte contro discriminazioni e pro parità salariale (anche tra campioni di tennis).
In realtà quello firmato da Jonathan Dayton e Valerie Faris si rivela un film più contemporaneo che mai, con l'insistenza e l'efficacia con cui affronta il macrotema della discriminazione di genere, mai senza una punta di ironia. Il film è disseminato di battute sparse ad arte che sintetizzano tutto chiaramente: il pubblico vuole vedere gli uomini, sono più forti e divertenti, per questo vanno pagati di più.
La lotta contro il fallocentrismo su cui si sono costruite intere culture e popolazioni è qualcosa di estremamente interessante da seguire sul grande schermo. Nel caso specifico, nella tensione del match point c'è tutta la voglia di riscatto di intere generazioni di donne che si sono viste negare attenzione e dignità per secoli, relegate come il film non manca di sottolineare "in camera da letto, o in cucina".
Di storie di protagoniste che hanno sete di riscatto e lottano per dire la loro è piena la storia del cinema. Dalle suffragette di Mary Poppins a quelle di Sarah Gavron, passando per il pluricandidato agli Oscar Il diritto di contare.
Ma i registi Jonathan Dayton e Valerie Faris osano un passo oltre e servendosi della complicità attoriale dei protagonisti - lo straordinario istrione Steve Carell che non smette più di stupire, la pluripremiata Emma Stone, ma anche la sempre talentuosa Andrea Riseborough e la carismatica Sarah Silverman - riuniscono nella stessa lotta di rivendicazione della parità di genere etero e gay, insistendo sull'inedita figura della campionessa che non intende rinunciare alla passione esplosa per la sua parrucchiera incontrata un giorno per caso (come si addice ai grandi amori cinematografici). Altro filone cinematograficamente (di)battuto, quello dell'amore gay e delle relative battaglie per affermarlo e difenderlo agli occhi di tutti: si va da Milk a 120 battiti al minuto, passando per il delizioso Pride.