La prima edizione del Dong Film Fest: dal 4 al 6 novembre al cinema Massimo di Torino.
di Emanuele Sacchi
Nella costellazione di festival sul cinema attualmente presenti sulla penisola, molte sono le sovrapposizioni e altrettante le lacune. Tra queste ultime un ruolo di primo piano spetta al cinema cinese, che tuttora manca della dovuta considerazione - specie alla luce del ruolo di primo piano che lo stesso sta assumendo nell'ambito dell'industria cinematografica mondiale.
A Torino nasce una nuova realtà, il Dong Film Festival (Dong significa "Oriente" in cinese), che si propone di portare il cinema cinese in Italia e quello italiano in Cina, con un doppio appuntamento nelle due nazioni.
La prima edizione avrà luogo dal 4 al 6 novembre al cinema Massimo di Torino, dove saranno presentate 5 opere prime realizzate da registi cinesi indipendenti.
La seconda edizione, invece, avrà luogo nella primavera del 2017 in Cina, prima alla Communication University of Shanxi (CUSX) di Taiyuan e quindi a Shanghai.
Lo Shanxi, vasta regione della Cina costituita prevalentemente da campagne sterminate, e la CUSX sono anche stati la culla di alcuni dei più importanti cineasti cinesi attuali: nomi come Jia Zhang-ke, Wang Bing, Cao Baoping, Xie Dong. Fino all'ultimo talento, quel Gan Bi che con il debutto di Kaili Blues - presentato al Festival del Film Locarno 2015 nei Cineasti del Presente e poi in tutto il mondo - ha colpito la critica internazionale.
Se il cinema popolare cinese sta conducendo un braccio di ferro con Hollywood da cui è ancora difficile capire chi uscirà "vincitore", il cinema indipendente procede secondo un suo percorso evolutivo parallelo, proseguendo un discorso espresso negli ultimi decenni da autori come Zhang Yimou, Zhang Yuan o Jia Zhang-ke. Spesso portandolo avanti tra mille difficoltà di natura politica o censoria. Temi come il disagio esistenziale nella nuova Cina, i contrasti stridenti tra ricchi e poveri, tra industria e ambiente o tra città e campagna, letti e interpretati dai nuovi autori con una sensibilità che guarda alla tradizione, senza perdere di vista la contemporaneità.