Il film su Pelé non è un capolavoro. Il fatto è che Pelé era lui la fantasia, e bastava raccontare ciò che molti, moltissimi, già sapevano. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti
Il film su Pelé è nelle sale e non è un capolavoro. Certo, quando devi raccontare una vita, così ricca e popolare ti devi attenere a troppi elementi di realtà e di verità, non puoi inventare troppo, non puoi creare. Devi documentare mettendoci un po' di fantasia.
Il fatto è che Pelé era lui la fantasia. E così bastava raccontare ciò che molti, moltissimi, già sapevano.
La vicenda copre otto anni di storia, da quando il ragazzino Dico sgambetta nei poveri campi della periferia di Rio, alla sua consacrazione quando fu l'eroe dei mondiali in Svezia nel 1958. Abbiamo da poco visto il film su Jesse Owens, il nero americano che umiliò Hitler battendo i suoi ariani alle Olimpiadi di Berlino del '36. Potente era l'implicazione politica, storica di Owens, ancora più potenti sono le implicazioni di Pelé. Per cominciare è stato nominato l'atleta del secolo dal Comitato Olimpico internazionale. Ma anche questo è riduttivo. "Atleta" non basta. Va meglio eroe generale.
Io seguo da sempre lo sport. A Pelé ho sempre tenuto. Per cominciare l'ho visto giocare, ero ragazzino: un'amichevole con l'Inter, che stava vincendo 3 a 0 e in cinque minuti il brasiliano fece tre reti. Col Milan nella Coppa intercontinentale del 1963, dove il Santos perse 4 a 2 ma Pelé fece due gol. E poi in un'amichevole delle Nazionali quando l'Italia batté il Brasile 3 a 0, a Milano, sempre nel '63. Fu quando Trapattoni riuscì a contenerlo. E per anni il "Trap" visse di rendita, era "quello che aveva fermato Pelé".
La finale del '70, dopo la nostra vittoria eroica nelle semifinali, il 4 a 3 con la Germania, la ricordiamo tutti. Quel 4 a 1 così doloroso per noi. L'eroe, fu Pelé, che conquistava il suo terzo titolo mondiale. Non c'era mai riuscito nessuno.
Una volta ero a una cena con Enrico Albertosi, il nostro portiere in quella partita. Mi diceva che Pelé era un incubo, ti creava tachicardia anche quando si spostava senza palla. E poi fece quel gol, il primo, saltando più in alto di Burgnich, ritenuto il difensore più duro del mondo. Era un predestinato, da madre natura. Non alto, poco più di uno e settanta, cosce ipertrofiche, era il più veloce, quello dal tiro più potente, coi due piedi, il più bravo di testa nonostante i centimetri, il più dotato di classe pura, il più geniale nel distribuire i palloni, nella zona più calda. E poi ha fatto più gol di tutti, ha vinto più di tutti. E' stato il più amato da tutti. Vedo che gli sto dedicando un canto, ma sono dati di fatto. Sono numeri. E poi c'è il mistero, il sortilegio che trasmetteva, qualcosa di non definibile che si vede poche volte, in pochi uomini e in qualche opera d'arte.
Era, calcisticamente, un anarchico, un solista. Quando il C.T. del Brasile, Feola, cercò, nei mondiali del '58, di contrastare l'organizzazione di gioco della Svezia, studiando alcune formule, finì per arrendersi all'evidenza, disse "ragazzi, andate in campo e fate quello che sapete fare, seguite il vostro istinto e il vostro talento". Musica per le orecchie di Pelé, che poi vinse alcune partite da solo.
Il film parte dalla finale della Coppa del mondo del 1950, giocata al Maracanà di Rio. Il Brasile perse con l'Uruguay. Duecentomila persone allo stadio, e tutto il Paese, precipitarono in un lutto nazionale. Ci furono dei suicidi. Il Brasile visse per anni nella tristezza. Ma nel '58 Pelé vinse il primo titolo e il Paese divenne felice.
Si diceva "il calcio oppio del popolo". Ci sta, ma se tu non hai le scarpe e mangi una volta al giorno se qualcuno ti porta un po' di felicità, benvenga. Edson Arantes do Nascimento (Pelé) era, ed è, un uomo serio. Ha saputo gestire popolarità e anormalità in modo intelligente. Si è costruito una personalità civile. Ha studiato, si è evoluto. E le grandi istituzioni ne hanno colto la potenzialità e le hanno trasformate in ruoli importanti. Fra i mille riconoscimenti e iniziative ricordo la nomina ad Ambasciatore delle Nazioni Unite per l'economia e l'ambiente; il suo impegno contro l'uso di sostanze stupefacenti e le discriminazioni razziali e sessuali. E tanto, tanto altro.