Debuttanti o habitué, ecco le star che fino al 22 maggio illumineranno il Festival e prometteranno con le paillettes la qualità del cinema che interpretano.
di Marzia Gandolfi
Per comprendere il divismo, una forma estetica propria del cinema, è sufficiente un esempio. Meno celebre certamente dell'abito bianco sollevato dal soffio della metropolitana (Quando la moglie è in vacanza), l'immagine più memorabile di Marilyn Monroe resta quella nella vasca da bagno tra bolle di schiuma e lampi di pelle nuda, l'alluce infilato nel rubinetto e l'idraulico muto a contemplarla. Marylin è il morbido muro sul quale rimbalza il suo sguardo e quello dello spettatore. Ecco cos'è il divismo, la declinazione radiosa di una persona che una combinazione chimica converte in segno incancellabile, in figura mitica impressa e persistente nel cuore e negli occhi. Combinazione chimica tanto prodigiosa quanto rara. Non diventiamo tutti attori, per farlo è necessario lavorare. Allo stesso modo non tutti gli attori diventano divi, per esserlo la pratica non basta.
Ogni attore interpreta un personaggio ma solo il divo sa impersonarlo sovrapponendo la sua immagine a quella del personaggio. Perché non è solo una questione di training si tratta soprattutto di aura, un'aura magica.
Geneticamente disposti all'eternità, le stars producono una smagliante folata di pienezza che passa attraverso la loro relazione con la luce dei set, la padronanza della gestualità, degli effetti prossemici, dei processi empatici, l'uso del contrappunto umoristico, la spontaneità (controllata) della mimica facciale che resiste a mille visioni. E nessun luogo (di culto) come un festival permette di verificare questa resistenza, ovvero il prolungarsi dell'illusione fuori dallo schermo.
Svettante, elastica, luminosa, autentica bellezza della sua generazione hollywoodiana, irrompeva sullo schermo e nella hall di un albergo di lusso con falcate folgoranti e stivali lucidi su cosce nude (Pretty Woman). Cuore e centro della romantic comedy di Garry Marshall e di ogni commedia sentimentale degli anni Novanta, Julia Roberts calcherà per la prima volta il red carpet di Cannes a fianco di George Clooney, suo partner in Money Monster. Dal boulevard di Los Angeles a le marches del Palais, l'attrice americana corona un sogno e conferma la natura fiabesca dei suoi personaggi.
Habitué dei festival e del glamour, George Clooney ritorna a Cannes col film di Jodie Foster (Money Monster) e di nuovo accanto a Julia Roberts (Ocean's Eleven). Attore o padrino di fascino classico e fibra democratica, Clooney incarna una certa idea dell'America, che rivisita di film in film: la Depressione, l'idealismo del New Deal, la ribellione degli anni Settanta. Caso (quasi) unico di 'politica dell'attore', i film che dirige e interpreta formano un corpo coerente, una sorta di percorso storico dentro le contraddizioni del suo Paese che sembra 'inventare' storie soltanto per fargliele raccontare. Money Monster non fa eccezione, muovendosi negli studi televisivi americani e nell'attuale crisi economica.
Aveva soltanto ventisette anni la prima volta che infilò le scale rosse della Croisette dentro un paio di scarpe bucate che 'imbarcavano' acqua con la pioggia. Occhi blu pacifico tuffati in onde lunghe spinte indietro con le mani, Russell Crowe non era ancora gladiatore ma ha mantenuto quello che prometteva nelle istantanee di Jocelyn Moorhouse. Nice guy per Shane Black (The Nice guys), prende a pugni Ryan Gosling e scende intemperante nell'arena festivaliera. Perché lui è l'uomo e l'attore sempre 'dentro la notizia' e potete giurarci che si farà notare anche questa volta, magari mettendo al tappeto (rigorosamente rosso) qualche fotografo imprudente.
Accarezzata dai rimbalzi della luce e dell'ombra, Kristen Stewart innamora vampiri (Twilight), cacciatori (Biancaneve e il cacciatore) e autori (Olivier Assayas, Woody Allen) che le offrono la possibilità di uscire dall'impasse dei blockbuster, cambiando pelle e look con una prestanza che è impossibile non guardare e ammirare. E guardata e ammirata sarà presto sul tappeto rosso del Palais. Appuntamento doppio per la protagonista di Café Society, il film di Woody Allen che apre la 69esima edizione del Festival di Cannes, e di Personal Shopper, il nuovo film di Olivier Assayas che scommette ancora su di lei dopo Sils Maria, film (letteralmente) meteorologico che intuisce la 'diffidenza' dell'attrice. Una star che ama partner e pubblico a distanza di sicurezza.
Non è nuova al genere horror, Elle Fanning, vampira ieri per Francis Ford Coppola (Twixt), indossatrice oggi nel nuovo film di Nicolas Winding Refn (The Neon Demon). Sarà per l'incarnato opalescente e i larghi occhi chiari che sembrano accesi da una pila puntata in faccia. Con lei la paura a Cannes corre lungo la passerella. Regina della runway su e giù dallo schermo è la prima protagonista femminile della filmografia testosteronica dell'autore danese. Sorella e negativo organico di Dakota, Elle ha attraversato le stagioni della fanciullezza (Somewhere, Super8) licenziata con la violenza poetica di Refn che aspira ad annettersene l'anima coi suoi demoni di stile.
Fosse stato più giovane, lo avrebbe interpretato Woody Allen il ruolo che offre oggi a Jesse Eisenberg in Café Society. Doppio puntuale dell'autore newyorkese e control freak paranoico di enorme talento, dei personaggi alleniani il giovane attore condivide la cultura e le nevrosi. Rivelato da The Social Network e radicalizzato nel successo da Batman v Superman, in cui interpreta il rivale cerebrale dell'alieno, Eisenberg è un anti-eroe al cinema che coltiva nella vita la sindrome dell'assenza. La prospettiva di rivedersi sullo schermo lo infastidisce e così due anni fa declina l'invito a Cannes (Back Home). Ufficialmente costretto a restare a New York, concretamente occupato a gestire la sua idiosincrasia, a questo giro di passerella non può davvero dire di no.
È l'attore dietro la maschera del vilain Kylo Ren (Star Wars: Il risveglio della Forza) ma il successo lo trova prima col cinema autoriale di Saverio Costanzo (Hungry Hearts) e di Noah Baumbach (While We're Young). La geometria brutale del volto, la dolcezza dello sguardo, il corpo atletico esibito in qualsiasi occasione, lo hanno imposto sullo schermo e nei cuori delle fan che potranno ammirarlo per la seconda volta sulla promenade della Croisette. Ma questa volta a Cannes l'ex marine, arruolato per patriottismo all'indomani degli attentati dell'undici settembre, ci viene da protagonista. Tre anni dopo A proposito di Davis, Adam Driver è l'eroe ordinario del nuovo film di Jim Jarmusch (Paterson) che sogniamo di vedere monter les marches in 'costume'. Nero ovviamente.
Due anni fa venne a Cannes a promuovere il western ipnotico di Lisandro Alonso (Jauja) e a sostenere l'Argentina, il paese della sua infanzia, fra pochi giorni accompagnerà la commedia familiare di Matt Ross (Captain Fantastic). Di nuovo padre (The Road), questa volta di sei figli, l'attore, schivo e refrattario, mantiene intatto il suo mistero dietro lo sguardo chiaro. Rivelato (tardi) da Il Signore degli Anelli e consacrato da David Cronenberg (La promessa dell'assassino), Viggo Mortensen avanzerà regale sul red carpet, dimostrando ancora una volta di saper cortocircuitare l'evidenza con uno stile minimalista e rigoroso.
Dopo Coffee and Cigarettes e Dead Man, Iggy Pop torna a lavorare con Jim Jarmusch che lo omaggia trasformando in immagini lo 'slogan' più bello del punk-rock (Gimme Danger). Documentario dal titolo stoogesiano, Gimme Danger è l'occasione per acclamare sul tappeto tradizionale di Cannes il re-sole del rock, un'artista che dimostra album dopo album di essere presente e capace di graffiare, di rilanciare. Voce inestimabile, occhiali neri per notti bianche, la leggenda del Michigan è la star più attesa di questa 69esima edizione che abbraccia lo spirito anticonformista e ribelle della cultura punk.
Bionda, atletica e ponte tra due età del cinema francese, amazzone combattente nel film del trentenne Thomas Cailley (The Fighters - Addestramento di vita) e amante ferita per il settuagenario André Téchiné (L'homme qu'on aimai trop), Adèle Haenel è la protagonista del nuovo film dei fratelli Dardenne (La fille inconnu), alla ricerca dell'identità della fanciulla del titolo. Singolare e plurale, la sua singolarità risiede nella sua pluralità, la capacità di essere insieme femminile e mascolina, leggera e greve, pragmatica e immaginativa. Credibile come femme fatale o come giocatrice di hockey, la Haenel è senza dubbio l'attrice francese più interessante a calcare la marche. Lontana dalla silhouette sottile delle connazionali, questa 'biondona' dal viso soave e il corpo vigoroso, potrebbe riservare una sorpresa (d'oro).