Individui pericolosi, pazzi, scemi, poveri uomini su cui si accanisce il fato: un viaggio tra il grottesco e il nonsense.
di Gabriele Niola
Ci sono due cose per le quali sono noti i Coen: trame imprevedibili e personaggi unici.
Nella loro carriera i fratelli hanno girato 17 lungometraggi densi di protagonisti, antagonisti o anche solo comprimari memorabili. Alcune delle sequenze più note di tutta la loro carriera sono tali perché presentano o agitano personalità incredibili.
Affezionati ad un gruppo di attori che negli anni hanno oscillato tra parti protagoniste e comprimarie, caratteristi e non a cui hanno affidato ruoli caricaturali al pari di macchiette, malvagi villain che oscillano sul confine del grottesco come ridicoli idioti (quel che gli riesce meglio), i Coen, ad oggi vantano un parco personaggi cult che non ha pari.
Il loro ultimo film, Ave, Cesare! non fa eccezione. Dal più classico scemo interpretato da George Clooney (con bellissimo monologo finale), alla diva del cinema acquatico che parla come uno scaricatore di Scarlett Johansson, fino a registi sofisticati, cowboy ignoranti e una bellissima reporter con sorella gemella interpretata da Tilda Swinton, la loro Hollywood dei tempi d'oro è una galleria di mostri da circo.
Abilissimi in qualcosa, ammaestrati dal cinema ma inabili alle relazioni, i personaggi di quest'ultimo film sono tutti freak nel senso cinematografico del termine.
Tra individui pericolosi, pazzi, scemi, poveri uomini su cui si accanisce il fato e incredibili sorprese, la galleria delle 10 presenze cult del cinema dei Coen è un lungo viaggio in una visione del mondo tra il grottesco e il privo di senso.
Enigmatico, silenzioso, senza ambizioni, stretto in una vita che non desidera ma che non fa nulla per cambiare, almeno fino alla possibile svolta.
C'è sempre del nero o del criminale nella maniera in cui i personaggi dei Coen cercano di cambiare vita, c'è un omicidio, un colpo o un'assicurazione da fregare.
Eppure quello lì, quell'uomo che non c'era di Billy Bob Thornton, è una delle figure più difficili da inquadrare di tutta la loro filmografia.
Qualcosa che sta tra il diavolo e l'acqua santa, tra il bisogno e la punizione.
In quell'inferno che è l'hotel di Barton Fink il corpulento Charlie Meadows è sia il peggior vicino che ti possa capitare, sia l'unico con cui potersi relazionare.
Animato dalla foga di John Goodman (uno degli attori ricorrenti dei Coen) è un personaggio che cresce per tutto il film fino ad esplodere nel finale.
Personificazione del male e delle paure, solo la prima di una lunga serie, Leonard Smalls è nero.
Nero di sporco e nero per i vestiti, gira in moto e il suo unico ruolo è minacciare.
Tuttavia è anche un cattivo da operetta, pensato per apparire ridicolo tanto quanto incombente. Farà una fine grottesca ma non prima di essersi affermato come un'icona, una che riesce ad imporsi nell'immaginario collettivo solo con la propria immagine.
Non c'è nessuno di più triste di Llewyn Davis, musicista con talento ma non a sufficienza da convincere i discografici, chitarrista folk che lotta per emergere a New York un passo prima dell'arrivo di Bob Dylan, cioè un momento prima di essere travolto dalla grande storia.
La sua storia malinconica è tappezzata di momenti incredibili come l'incontro con un animale quasi messo sotto con la macchina o l'accenno alla sua paternità lontana.
Pronto a scoppiare d'ira e massacrato dalla vita, Llewyn Davis è la più umana di tutte le creature coeniane.
Come già Llewyn Davis anche Larry Gopnik è massacrato dalla vita. Con più decisione però qui sembra che ad un certo punto il destino abbia chiaramente deciso di accanirsi contro di lui. Tutto ciò che può andare male va male e senza preavviso.
Larry Gopnik è la materializzazione dell'essere umano che subisce un mondo ingiusto e privo di ordine, destinato ad "accettare il mistero" come gli viene consigliato di fare.
La religione dice che tutto questo lo eleverà allo statuto di vero uomo, che è il suo destino, ma la dura realtà invece dice che non conta niente perché tanto arriva il tornado a spazzare via tutto.
Di nuovo John Goodman, questa volta però in Il grande Lebowski. Reduce degli anni '90, un periodo in cui la crisi da stress post traumatico non faceva notizia.
Ossessionato dalla "valle di lacrime", guerrafondaio e armato fino ai denti, Walter Sobchak si relaziona con il mondo attraverso la guerra e in questo sta la sua parte grottesca.
Pronto ad inseguire un bambino che sospetta avergli fatto un torto come se fosse un vero criminale, è parte della banda del Drugo, una colonna di cinismo e complottismo.
Qui siamo dalle parti della pura mitologia. Pochissimi secondi in scena, eppure è rimasto uno dei personaggi più grandi in assoluto.
Immaginato a partire da una musica con il contributo fondamentale di John Turturro nel determinarne look, dettagli, accenti e balletto, Jesus è uno dei molti simboli del cinema dei Coen.
Passa nella storia e sullo schermo senza incidere realmente nella trama, ma aiutando a definire il tono del film. Non ha un vero ruolo, è parte dell'arredo ma da solo dà un tono a tutto l'ambiente. Solo la maniera in cui parla di sè in terza persona e pulisce la propria palla da bowling valgono una filmografia intera.
È un killer spietato che gira con un compressore come arma, nato dalla fantasia di Cormac McCarthy, come del resto tutto nel film. Ed è solo una delle molte persone che in questo film cercano di impossessarsi della somma di denaro rubata dal Llewelyn Moss di Josh Brolin.
I Coen tuttavia lo affidano a Javier Bardem e gli donano un pizzico di ridicolo per accentuarne la componente spaventosa (il taglio di capelli), riuscendo a farne un'altra personificazione della paura di una morte improvvisa.
Ogni cosa può accadere in Non è un paese per vecchi proprio perché esiste uno come Anton Chigurh sempre pronto a raggiungerti. Silenzioso e pericoloso.
In questo personaggio c'è tutto, è una costruzione perfetta, il risultato di una precisa ingegneria narrativa affidato ad un'attrice coscienziosa come Frances McDormand.
Questo detective di provincia infallibile come fosse scritto da Agatha Christie, ma anche ingenua come una brava donna di campagna, esiste e opera con una leggerezza commovente nel più duro dei contesti, là dove il freddo sembra spietato.
Il dettaglio di renderla incinta poi dà ad ogni suo movimento una precarietà che è aspramente combattuta dal suo piglio leggero e tranquillo. In una carrellata di personaggi pericolosi, spaventosi, vittime o scemi, lei è forse l'unico davvero stimabile.
Passa la sua vita a fare niente, fumare erba e giocare a bowling. Jeff Lebowski, omonimo di un grande uomo d'affari, sarà per questo preso da una trama gialla che non desidera e fa di tutto per respingere. A lui in realtà interessa solo il suo tappeto.
Residuo della California anni '60 inserito nella Los Angeles neo-noir anni '90, Drugo è il massimo del passivo.
In un mondo (quello dei Coen) in cui nonostante quanto ci si possa adoperare comunque si è vittime del caos dell'esistenza, Drugo è l'unico che non si adopera per un bel niente e accetta la valanga di problemi che il destino ha in serbo per lui perdendo tempo in quisquiglie o sognando musical sul bowling. La sua passività, il suo stile rilassato e la sua pigrizia sono così ben sposati ad un mondo che procede ad altri ritmi, da renderlo il più grande trionfo dei fratelli Coen.