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ONDA&FUORIONDA

Quanta "Casa Bianca" sugli Oscar.
di Pino Farinotti

In foto Michelle Obama durante la cerimonia degli Oscar.

domenica 3 marzo 2013 - Focus

Una lettura in prospettiva degli "Oscar", selezionando l'essenziale, consente un rilievo molto importante, decisivo. Michelle Obama ha personalmente annunciato, dalla Casa Bianca, la vittoria di Argo. Felice, entusiasta. Il fatto rappresenta un precedente interessante. Che non consiste nell'ingerenza di una presidenza nel cinema, che c'è sempre stata, ma nel modo perentorio ed esplicito.
Ma questo è solo un segnale forte e nuovo, la punta dell'iceberg, come si dice. Perché la Casa Bianca ha davvero dominato sulla notte delle stelle. In questa chiave non c'era solo Argo, ma anche Lincoln e Zero Dark Thirty. Sono film politici. La considerazione può essere: tutti i film sono "politici", ma in questo caso non valgono le virgolette. Argo è dunque un film strumentale all'amministrazione Usa, squisitamente "obamiano". È la storia di una vittoria. E sappiamo bene quanto siano importanti le vittorie per le amministrazioni, e per l'America di questi anni. In un contesto di guerra e di guerre, per lo più osteggiate dall'opinione comune, è opportuno, e decisivo, un restyling di immagine. Dunque "vittorie" a fronte di sconfitte, anche gravi, che hanno cambiato la Storia: ne rilevo due, l'11 settembre e il fallimento della Lehman Brothers che ha messo in ginocchio l'economia del mondo. La vicenda raccontata da Argo è nota: sei funzionari dell'ambasciata americana di Teheran, assediata dai fondamentalisti, novembre 1979, riuscirono a fuggire, vennero accolti nell'ambasciata canadese, poi vennero fatti uscire dall'Iran grazie a un grande trucco, la finta produzione di un film. E c'è un dato curioso: il salvataggio dei 6 americani dell'ambasciata era semplicemente un segmento felice di una vicenda drammatica. Gli altri membri, 52, dell'ambasciata assaltata, furono presi in ostaggio dagli iraniani. Nell'aprile dell'80 il presidente Carter tentò un blitz per la loro liberazione, che fallì. La vicenda si concluse, diplomaticamente, soltanto il 20 gennaio del 1981, quando gli ostaggi vennero rilasciati dopo 444 giorni di prigionia. Era una chiara sconfitta americana, che Argo ha "tradotto" in vittoria. Il cinema può permetterselo.

Antico
Il rapporto fra Washington e Hollywood è antico e consolidato, è sempre stato strettissimo, soprattutto è stato utile e funzionale. Nel 1940 l'amministrazione Roosevelt delegò al cinema il compito di indurre gli americani a entrare in guerra e Hollywood produsse Il sergente York, con Gary Cooper nella parte di un eroe della prima guerra mondiale. Cooper, divo massimo, possedeva appeal e sortilegio per sedurre e "persuadere" il popolo americano, che aderì alle intenzioni dei politici e accettò di mandare i suoi figli in Europa e nel Pacifico. Nel 1936 Greta Garbo, omologa di Cooper, con Ninotchka esorcizzò la "paura rossa" degli americani, ridicolizzando il modo di vita dei russi comunisti. Seguirono film cosiddetti di propaganda. Occorreva che gli americani fossero tutelati nel morale, avevano figli, mariti e fratelli in guerra. Faccio un titolo importante Signora Miniver, capolavoro del resto, pieno di Oscar (certo). E poi tutte quelle storie di guerra dove tedeschi e giapponesi subivano sconfitte esagerate, quasi grottesche. E poi il problema spinoso dei reduci: ed ecco un altro capolavoro, con tanti Oscar, I migliori anni della nostra vita. Se c'era da far passare un'indicazione, il cinema aderiva. Per esempio Hiroshima. Certo l'amministrazione si era sentita legittimata per quell'azione: l'abnorme tradimento giapponese di Pearl Harbor e il calcolo che la bomba avrebbe abbreviato la guerra e risparmiato vite. Ma uccidere centinaia di migliaia di innocenti non era comunque piccola cosa. E anche in quel caso il presidente Eisenhower affidò al cinema la... excusatio. Il testimonial era Robert Taylor, altro divo assoluto, nei panni di Paul Tibbets, il comandante dell'Enola Gay, l'aereo che sganciò su Hiroshima. Taylor trasmise il dramma devastante, personale e nazionale, della "necessità" di un'azione come quella.
Tutto questo è conosciuto. Ma c'è un aspetto diverso, direi "opposto", e meno conosciuto: una propaganda hollywoodiana a favore della Russia. Sembra un assurdo storico ma è così. Negli anni dell'alleanza con l'Unione Sovietica Washington diede alle major l'input in quel senso. Uno dei film esemplari è The Song of Russia. Titolo quasi enfatico, ma quello era il contenuto: un direttore d'orchestra americano si reca in Russia, conosce una musicista, nasce il rapporto. I due girano il Paese, rappresentato felice, sano e sorridente, coi cittadini che vivono liberamente il sogno comunista. Una felicità distrutta dall'invasione tedesca. Il testimonial era ancora Robert Taylor. Ruoli opposti dunque, ma il cinema può permettersi anche questo. Va detto che Song non fu mai distribuito oltre i confini americani.

Competizione
"Casa Bianca" dunque. Un altro titolo in quel senso, in competizione per gli Oscar era Zero Dark Thirty, quello su Bin Laden, della Bigelow.
Un film peraltro più "potente" e di maggiore qualità generale rispetto ad Argo. Ma la regista primatista - prima donna regista a vincere l'Oscar- era già stata premiata tre anni prima con The Hurt Locker. Non si poteva ... esagerare. E poi la Casa Bianca che emerge da Zero non è così trasparente. Il film comincia con una lunga scena in cui un agente della CIA tortura un terrorista islamico. L'amministrazione naturalmente non ha gradito. Infine Lincoln: "Casa Bianca-trionfo-leggenda." Il presidente Lincoln è uno che ha cambiato il mondo. Sappiamo. Dunque portatore di immagine e di vittoria strepitose.
Tornando in conclusione alla protagonista vera, Michelle. Nessuna first lady era mai scesa in campo dichiaratamente, direttamente. Come se la "presidentessa" comunicasse al movimento del cinema: "grazie signori per aver premiato un film utile e funzionale alla politica e all'immagine di mio marito". Le "first" Roosevelt, Eisenhower, Kennedy o Reagan e tutte le altre, non avevano meno potere di Michelle, e certo non si tiravano indietro nel sostegno ai mariti. Ma non si erano mai messe sul piedestallo presidenzial-hollywoodiano a esplicitare così apertamente, ad avallare in "chiaro", la ditta politica&cinema.

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