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Alberto Bevilacqua, penna vera

L'autore emiliano si è spento a Roma questa mattina. Aveva 79 anni.
di Pino Farinotti

In foto Alberto Bevilacqua.
Alberto Bevilacqua 27 giugno 1934, Parma (Italia) - 9 Settembre 2013, Roma (Italia).

lunedì 9 settembre 2013 - Focus

Ho conosciuto Alberto Bevilacqua qualche anno fa quando dedicò una recensione sul Corriere della sera a un libro di Daniela Azzola, "The End - Domani è un altro giorno". Il libro riportava sessanta finali positivi di grandi film. Bevilacqua rilevò l'anomalia delle buone notizie, in un momento in cui prevalgono, funzionano e fanno mercato solo le cattive notizie. Lo incontrai al bar di "angolo Solferino", frequentato dai "corrieristi". Fu gentile perché eravamo "due emiliani, e non siamo poi molti che fanno questo mestiere". Gli domandai subito qualcosa di impegnativo ma molto coinvolgente per lui. "Allora Alberto, glielo danno il premio Nobel?" Ci rise sopra, rispose che sarebbe stato magnifico, ma forse c'era gente italiana in fila, più qualificata di lui. Poi il Nobel lo vinse Dario Fo. A sorpresa. Credo che ci saremmo sorpresi di meno se il grande riconoscimento fosse stato dato allo scrittore di Parma. Il suo nome girò davvero per anni legato al Premio di Stoccolma, gli editori svedesi da tempo traducevano i libri di Bevilacqua. La sola possibilità, l'ipotesi accreditata, di un Nobel poteva già bastare a dichiarare e ad accreditare l'eccellenza.

La qualità della scrittura di Bevilacqua è molto alta. Una penna vera, che ama il fraseggio, l'inserto creativo, l'armonia e il suono della metrica e presenta un vocabolario molto largo. Al di là dei contenuti, che sono profondi ed esclusivi. Bevilacqua, da tempo, non era più "in classifica". E se vogliamo il fatto è naturale, sta perfettamente nella nostra epoca, dove in classifica vanno autori che propongono "instant" o storie adolescenziali pensando già al film che ne deriverà. Autori ai quali bastano cento parole per esprimersi. In un mio libro recente scrivevo questa dedica: A Scott Fitzgerald ("Il Grande Gatsby", 1925) e a Ernst Lubitsch (Vogliamo vivere!,1942), per il magnifico promemoria di qualità in un'epoca in cui la qualità è umiliata. Fatti certi distinguo, Bevilacqua appartiene a questa categoria del promemoria. Sapeva scrivere.

La sua è certo una storia provinciale, un po' alla Fellini. Cominciò a scrivere, sulla Gazzetta di Parma, antichissimo quotidiano, una serie di racconti, era il 1955, aveva 21 anni. Poco dopo pubblicò dei versi, un altro esperimento, poi firmò un paio di romanzi di buon successo, "L'amicizia perduta", "Una città in amore", poi uno di grande successo, "La califfa". Quest'ultimo è forse il titolo che più lo identifica. Per la poesia ho scritto "esperimento". Un altro è stato il cinema, che poi è diventato molto di più, è diventato percorso e mestiere. Alla voce Bevilacqua, nei dizionari trovi "scrittore e regista" italiano. Tuttavia ritengo le definizioni non... paritetiche. Bevilacqua era soprattutto uno scrittore. I suoi libri sono nella storia della letteratura italiana, i suoi film sono opere che possiedono qualità - e come potrebbe non essere così data la "firma" - ma che... non fanno la storia. Il migliore è "La califfa", che riproduce tutte le ricerche dello scrittore: le donne, la debolezza e le contraddizioni della società italiana a cominciare da quella di provincia. Tra i film meritano una citazione Bosco d'amore, tratto dal Boccaccio e Le rose di Danzica, un format anche televisivo che dava spazio a un altro magnifico talento di Parma, Franco Nero. La penna di Bevilacqua è più che sufficiente, può vivere di luce propria, senza cinepresa. Un grande italiano che non c'è più.

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