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Lo sguardo ostinato

L'Almanacco del giorno dopo, gli scopi didattici della Rai e le polemiche su Sangue.
di Dario Zonta


martedì 20 agosto 2013 - Focus

A metà degli anni Settanta prese avvio sul primo canale della Rai un programma preserale che caratterizzò il palinsesto per una decina d'anni, o forse più. Era l'Almanacco del giorno dopo. Una sigla inconfondibile lo annunciava, una specie di ballata in stile medievale composta da Antonio Riccardo Luciani che preannunciava le varie rubriche che componevano il programma, cadenzato dal santo del giorno e dalle fase lunari. Per chi all'epoca era bambino, l'Almanacco del giorno dopo ha segnato il tempo, ma nel senso stretto, perché si insinuava in quel momento in cui la cena non era ancora pronta e i compiti erano finiti. Una sospensione dentro la quale faceva eco quella canzoncina medioevale come un metronomo da cui non si poteva sfuggire.

Era il tempo in cui la Rai aveva ancora a cuore l'alfabetizzazione degli italiani, infarcendo la programmazione di "Domani avvenne", "Conosciamo l'italiano?" e documentari brevi di cultura popolare. Era anche il tempo in cui la Rai progettava interi cicli di film suddivisi per generi, presentati da storici e studiosi del cinema in cui i più grandi maestri del cinema facevano ingresso nelle case italiane. Anche questo faceva parte del compito di alfabetizzazione della televisione pubblica. Oggi di tutto questo non c'è quasi più traccia, dando per scontato che gli italiani si siano alfabetizzati, senza tener presente il fenomeno dell'analfabetismo di ritorno e senza chiedersi di quale cultura cinematografica le nuove generazione hanno fatto esperienza.

Generiche riflessioni di fine estate, più preoccupate che nostalgiche, ad un passo dall'inizio di una nuova stagione cinematografica dai contorni incerti, segnata da una aspra polemica sulle "ragioni di stato" di un film italiano che ha scandalizzato in molti per aver dato la parola a un brigatista all'interno di una narrazione che affronta il tema della morte. Molti di quelli che hanno scritto e che hanno criticato Sangue di Pippo Delbono lo hanno fatto senza aver visto il film sulla base di un assunto etico che seppur legittimo dovrebbe tener conto del contesto narrativo ed estetico. Polemiche cinematografiche di questo tipo se ne sono avute molte, e possiamo citare quella che si scatenò contro Il sol dell'avvenire di Gianfranco Pannone presentato proprio a Locarno nel 2008 nella sezione Ici & Ailleurs. La base del discorso era la stessa, la necessità di finanziare con soldi pubblici opere che dessero voce ai protagonisti della stagione legata alle Brigate Rosse, l'atteggiamento pregiudiziale era identico. Anche allora come oggi, la discussione politica era pregiudiziale e non teneva conto del film, dandolo per scontato. Nulla è cambiato. Sarebbe straordinario potersi dire pregiudizialmente contrari a un'operazione del genere per poi scoprire, una volta visto il film, che si aveva ragione.

Questo è quello che accadeva ieri nella cronaca cinematografica di questa estate balorda che qui si è trasformata per un attimo in una sorta di Almanacco del giorno dopo senza più santi e fasi lunari, senza più film in televisione (e neanche al cinema, per ora), ma con compleanni illustri ampiamente illustrati dalle disperate pagine di spettacolo dei quotidiani agostani. Ieri nasceva Nanni Moretti, ma sessanta anni fa (auguri Nanni, tra i più lucidi e pervicaci tra i nostri registi), e l'altro ieri Roman Polanski che ne ha compiuti ottanta di anni, ma nessuno se n'è ricordato e ne ha scritto. Provincialismo all'italiana.

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