Ho lasciato passare qualche giorno, prima di ricordare il mio amico.
Ho incontrato Vincenzo Cerami a Roma nel 2002, naturalmente lo conoscevo bene.
Facevamo parte della Commissione consultiva del cinema, del Ministero dei Beni culturali, che ha il compito di finanziare le sceneggiature che abbiano i requisiti per diventare film. Indossava un cappotto nero di pelle che gli arrivava quasi alle caviglie. Gli dissi: "Sembri Albert Speer". Si guardò e disse: "Hai ragione, sembro un nazista". E non gli vidi più quel cappotto. Cerami è uno degli artisti di maggior talento che abbia conosciuto ed era uomo di magnifica umanità, con quella sua bella faccia da vilain da noir francese.
C'è un episodio: stavamo facendo, con la commissione, l'audizione di un autore. Funzionava così: a volte una sceneggiatura possedeva qualità, ma occorrevano chiarimenti, allora si convocava il regista. Quella volta venne un signore, molto anziano, palesemente fragile che ci illustrò il suo progetto, che era suggestivo, non convenzionale e poco costoso. Dopo l'audizione, per l'approvazione, se ci fosse stata, sarebbe passato il tempo fisiologico della burocrazia. Cerami mi guardò e disse: "Lo fai tu o lo faccio io?". Risposi: "Lo faccio io, corro più veloce di te, credo". Di corsa scesi le scale, feci il corridoio verso l'uscita del palazzo, arrivai in strada e vidi là in fondo l'anziano. Lo raggiunsi e gli dissi che il suo scritto era stato approvato. "Abbiamo voluto darle subito la notizia, in via eccezionale". L'uomo rimase in silenzio poi, commosso disse che gli sembrava un sogno, che quello era forse il momento più bello della sua vita. Non ebbe il tempo di fare il film, perché morì poco tempo dopo. Spesso, con Vincenzo uscivamo la sera, si cenava in un certo ristorante di Campo dei fiori. Naturalmente parlavamo del nostro lavoro. Non gli piacevano alcuni dei film tratti dai miei romanzi. Cercava di consolarmi dicendo: "Non trasmettono la qualità dei libri, dovrebbe farti piacere se te lo dico...". Quando gli regalai il dizionario Farinotti si prese un giorno di tempo per ringraziarmi. "Voglio vedere come mi hai trattato". L'indomani, al Ministero, mi abbracciò. Gli dissi: "Hai visto, ti ho trattato bene, ma non era difficile con Cerami". "Sì" rispose, "e hai dato quattro stelle a Porte aperte, il film che forse amo di più, che non tutti hanno capito". Ecco, Porte aperte ha certo "aiutato" il nostro rapporto. Una volta gli chiesi se avesse qualche ripensamento su Pinocchio. "Scusami Vincenzo ma... non è La vita è bella". Fu forse l'unica volta che un pochino si irrigidì. Non ammetteva critiche - e ce n'erano state - su quel titolo. "Sarà un film" disse "che nel tempo diventerà un culto". Mi feci dedicare tutti i suoi libri. A mia moglie scrisse la famosa frase di Benigni ne La vita è bella: "buongiorno principessa".
Ho visto Vincenzo l'ultima volta un paio di anni fa, a Milano, alla Sala del Grechetto, che gli aveva dedicato un incontro. Parlava di se stesso a ruota libera, il lavoro, soprattutto la vita. Raccontò molto della sua infanzia. Ricordo un episodio: "Mia nonna mi portava spesso al cimitero, indugiava nella zona di famiglia. Vedevo i tanti Cerami scritti sulle tombe. Su una lapide di un parente il nome era "Vincenzo Cerami", così mi sono abituato presto a quell'idea". Adesso che il nome sulla lapide è proprio il suo, nella nostra cultura si è aperto un vuoto tanto profondo da essere incolmabile. Cerami era prima di tutto un grande romanziere, quella era la sua vocazione primaria e nobile, poi si "adattava" al cinema con una qualità che nessuno degli scrittori del nostro cinema riesce neppure a sfiorare.