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ONDA&FUORIONDA

Robert Redford: quel romantico sessantottino.
di Pino Farinotti

In foto Robert Redford in una scena di La regola del silenzio - The company You Keep.
Robert Redford (Charles Robert Redford Jr.) (87 anni) 18 agosto 1936, Santa Monica (California - USA) - Leone. Interpreta Jim Grant nel film di Robert Redford La regola del silenzio - The Company You Keep.

sabato 29 dicembre 2012 - News

Nel film La regola del silenzio Robert Redford fa il suo solito, magnifico, romantico se stesso. Ed evoca valori e suggestioni profondi. Evoca l'America progressista e liberal, quella delle grandi manifestazioni per il cambiamento: la solidarietà, la questione razziale, il Vietnam. Evoca la giovinezza e le passioni, e l'azione, e poi Washington e Berkeley. Ed evoca i compagni vicini a Redford, tutti nati nel 1937, e tutti legati dalle stesse culture e passioni. Allora e adesso. Mi concedo una digressione opportuna e suggestiva, e importante, un promemoria. I "trentasettini" Nicholson, Beatty, Jane Fonda e Hoffman: nel film non ci sono, ma è come se ci fossero. Modelli e "identificatori" accreditati -undici Oscar in cinque oltre a tutto il resto- che tanto hanno trasmesso dallo schermo.

Settanta
La radice della vicenda affonda negli anni settanta. Un gruppo chiamato Weather Underground si spinge molto avanti, per finanziarsi rapina le banche. Durante una di queste azioni viene ucciso un poliziotto. Il gruppo si scioglie e scompare. Trent'anni dopo un reporter intende far luce. È aggressivo e intelligente, trova le tracce di uno dei membri Jim Grant (Redford), quello che sparò, che ha vissuto sotto falso nome, si è rifatto una vita e che adesso deve nascondersi. L'eroe Redford che rapina e uccide è qualcosa di improprio e poco verosimile. Infatti si viene a sapere che non è lui l'assassino, che in quell'assalto neppure c'era. Nella sua fuga per la verità ritrova i vecchi compagni. Sono cambiati certo, ma non tutti, non le donne (la Sarandon e la Christie) che rimangono come allora, "rivoluzionarie" pronte alla violenza.
La figura di Redford è quella che ho detto nella prima riga. È il modello -nella vita e nel lavoro- liberal, intelligente, d'azione, ma che si ferma prima della violenza. Quando Redford non farà più film lascerà in tutti noi un vuoto grande. Più ancora di Clint, Robert, durante il suo percorso ha saputo accreditarsi come quello dalla parte del giusto. Non era facile. Ha dato le sue indicazioni sempre con la misura del grande interprete e autore. In Corvo Rosso ricercava l'America pulita dell'inizio. In Come eravamo era lo studente vicino alla compagna attivista-comunista, ma incapace di condividerne i radicalismi. In Tutti gli uomini del Presidente era Woodward, uno dei due giornalisti che smascherarono gli intrighi e la disonestà dell'amministrazione di Nixon. In Havana era l'avventuriero che si trova a Cuba alla fine del '59, quando Castro sta per prendere il potere. Fra il dittatore Batista e il rivoluzionario Castro, si schiera, pur con riserve, con quest'ultimo. Nel suo ultimo Regola del silenzio, dove molto si dibatte e si analizza, arriva a fare autocritica, certo salva molto di quei momenti ardenti, ma non gli assalti e le uccisioni. E sempre c'è di mezzo una donna, come riferimento, come guida e come prima passione. Come a dire: prima l'umano, poi le idee. Questa formula, questo equilibrio, queste indicazioni contro i soprusi del potere, questo amore sempre dichiarato per le grandi manifestazioni umane che guardano al buono e al giusto, hanno fatto di Robert Redford, e non credo ci sia dell'enfasi, un autentico eroe del cinema e delle idee, e un amico di chi predilige amici per bene.

Mitologia
Come eravamo fa parte della mia piccola mitologia personale. Inoltre il personaggio di Redford, Hubbel, è uno scrittore. Un'indicazione che qualcosa mi ha certo lasciato, come ispirazione e mestiere. Mentre scorrono i titoli, Hubbel, che è anche atleta, corre nel Central Park. Ha un ottimo stile, e ha energia, quella del trentenne Redford. In questo ultimo film, Robert corre continuamente, certo, la falcata è corta, il respiro è affannoso. È l'azione di un 70enne che comunque cerca di fare ancora le stesse cose, di non mollare, di affiancare la vitalità alle idee, di non cedere con la mente e neppure col corpo. È appunto una bella metafora, l'azione che sostiene il pensiero, anche se la fatica è maggiore, perché lo scenario è più vasto, più complesso e violento e i nemici sono più numerosi. E sempre spiegandoti che è doveroso, è "missione" impegnarsi e lottare, perché molto c'è sempre da cambiare, anzi, sempre di più. Ma al confine della violenza ci si ferma. Negli anni del giovane Redford io studiavo all'Università Statale di Milano. Sappiamo cosa significava e cosa accadeva in quell'edificio del Filerete. Conosco quella magnifica suggestione, c'ero dentro. Per noi di quelle stagioni la percezione era quella che, nel piccolo, qualcosa si stava facendo. E c'erano tante cose, i libri, i media, lo studio naturalmente, lo spettacolo, e anche le diversità, e il sociale tutto, e la cosiddetta lotta, ma sempre all'interno della primaria, grande idea del cambiamento. Ricordo che qualcuno magari la pensava come quelli del Weather Underground, e quella purtroppo era una realtà, la storia di quegli anni ce lo racconta, ma quasi tutti eravamo ragazzi che si impegnavano nel cambiamento, ma senza oltrepassare il confine detto sopra. Come ha sempre fatto Redford. Appunto. Teniamocelo stretto.

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