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La politica degli autori: Ken Loach

Sempre dalla parte degli umili, un cineasta dalla forte coerenza pubblica.
di Mauro Gervasini

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In foto il regista Ken Loach.
Ken Loach (88 anni) 17 giugno 1936, Nuneaton (Gran Bretagna) - Gemelli. Regista del film La parte degli angeli.

mercoledì 12 dicembre 2012 - Approfondimenti

Anche il John Ford di Furore o La via del tabacco era definito populista. Il termine, che indicherebbe un'attitudine alla lettura semplificata, viscerale e superficiale degli eventi politici, è in senso fordiano un sentimento al quale declinare stile e narrazione. L'adesione empatica agli umili e alle loro vicende. Vale il discorso anche per Ken Loach? Pensando a un film come Piovono pietre (1993), il suo capolavoro (ma chi scrive ama molto Sweet Sixteen, del 2002), sì. Grazie anche a una perfetta sceneggiatura di Jim Allen, meno didascalico dello scrittore braccio destro del regista Paul Laverty, il film utilizza la forza di un genere, la commedia, in senso fordiano, come veicolo di empatia verso individui mai stereotipizzati (eccelle, in questo senso, il prete). Parte dagli uomini per arrivare alla comunità (Ford) o alla classe sociale (Loach). Dove invece il populismo loachiano un po' si incarta è quando il processo è inverso, quando si parte dal classismo, o comunque dal tema con la maiuscola, e si arriva alle persone, magari un po' sacrificate in termini di spessore (accade per le materie a lui più "lontane" anche in termini geografici: l'imperialismo feroce di La canzone di Carla, in Nicaragua, o l'Irak del recente L'altra verità).

Per La parte degli angeli, nelle sale dal 13 dicembre, il regista torna a Glasgow, spesso teatro privilegiato dei suoi film (anche perché è la città dove vive Laverty), per raccontare la storia di un ragazzo, Robbie, futuro padre "graziato" da un giudice che scommette sul suo reinserimento sociale. Robbie utilizzerà insieme ad altri il proprio talento nel riconoscere l'aroma del whisky per mettere in piedi una "truffa degli onesti". L'etica del gruppo, la solidarietà tra chi è posto ai margini dal cinismo sociale, lo spietato economicismo dell'ambiente, l'esigenza di una speranza umanistica... Ormai quella dei film di Loach-Laverty, soprattutto le commedie (tipo Il mio amico Eric, 2009), è una road map attraverso motivi e figure di sfondo, o in primo piano, piuttosto ricorrenti, e per questo rassicuranti. Il socialismo di Ken il rosso è codificato e reso divulgativo da una regia sempre ad altezza d'uomo, trasparente, poco avvezza ai virtuosismi visivi. Anche, però, priva dell'epica del Ford "populista", se proprio vogliamo continuare il confronto; persino dove invece sarebbe stata necessaria, e pensiamo al titolo di maggior successo del cineasta inglese, specie negli Stati Uniti, Il vento che accarezza l'erba, Palma d'oro a Cannes nel 2006.

A rendere però assolutamente unico Ken Loach è la sua coerenza pubblica. Il saper incarnare le istanze ideologiche delle proprie opere mettendosi in gioco in prima persona, come fosse lui stesso un personaggio di Paul Laverty. Lo si percepisce autentico e per questo si ha nei confronti del suo cinema un'indulgenza critica non sempre giustificata dagli esiti artistici (Il mio amico Eric, L'altra verità, Un bacio appassionato e il molto citato, in queste ore, Bread & Roses, diciamolo, sono e restano modesti). Abituati all'opportunismo del cinema e dei suoi autori, un regista identificabile con quel che racconta finisce per creare passioni a prescindere, come accaduto di recente per la questione torinese (Loach ha rifiutato un premio del Torino Film Festival in solidarietà con un paio di lavoratori di una cooperativa di servizi esternalizzati, in vertenza sindacale). Che poi questa empatia possa essere impulsiva, come ci pare sia capitato sotto la Mole, è tutta un'altra storia.

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