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ONDA&FUORIONDA

Il Commissario Nardone: qualcosa di buono.
di Pino Farinotti

Sergio Assisi (52 anni) 13 maggio 1972, Napoli (Italia) - Toro. Interpreta Mario Nardone nel film di Fabrizio Costa Il Commissario Nardone.

domenica 7 ottobre 2012 - News

Torno a occuparmi di fiction televisiva, italiana. Lo faccio quando rintraccio qualcosa di buono. Dunque raramente. Ma Il commissario Nardone è un ottimo prodotto, per molti versi. Comincio da un tema che mi sta a cuore, l'eroe. Nell'era contemporanea ce ne siamo dimenticati. Nardone, anche se nella fiction è, legittimamente, un po' "romanzato", tuttavia nella sua epoca, fra gli anni quaranta e i sessanta fu quella che si diceva un'"istituzione milanese", lui campano, soprattutto fu un grande poliziotto, fiction o non fiction. Ricordo, verso la metà degli anni ottanta un'intervista che gli fece Biagi, profonda e aperta, diretta e sincera, com'era quell'uomo. Parlò di tutto, e sapeva come usare le parole e i concetti, spiegare differenze fra i criminali e terroristi, fra collaboratori e pentiti, fra i metodi di indagine. Fece confronti fra le polizie di altri Paesi. Quando Biagi gli domandò a quale modello di indagine si sentisse più vicino il poliziotto, senza esitazione, disse, "ai francesi". E così avallò a priori la definizione di questi giorni che lo riguarda, il Maigret italiano. E non è un concetto così improprio. Ci può senz'altro stare.

Milanese
Da milanese non posso non avere famigliarità con quel personaggio, in casa se ne parlava, come in tutte le case. Ma mio padre Dante aveva una sua ragione personale. E avrò sentito un suo racconto un centinaio di volte, ed è un numero per difetto.
Mario Nardone era arrivato a Milano appena dopo la guerra. Organizzò la famosa squadra, come mostra la fiction, i fedelissimi erano Rizzo, Muraro, Spitz e Suderghi. Fra i casi clamorosi, direi storici, da lui risolti c'è quello della famosa belva di San Gregorio, Rina Fort, che uccise la moglie del suo amante, incinta, e i suoi tre bambini. E poi l' impresa dell'arresto della famigerata banda di via Osoppo. E altre azioni a non finire. Il commissario riformò la polizia istituendo la Squadra mobile. Morì per il cancro, nel 1986, aveva 71 anni.
Sergio Assisi dà corpo e volto al commissario. La performance dell'attore è di alto livello: Mario era certo meno aitante e forse meno alto di Sergio. L'umanità trasmessa è autentica, così come l'empatia meridionale. È vero che Nardone non ebbe mai un grande rapporto col dialetto milanese. Una difficoltà moltiplicata per Assisi che si è trovato a fronteggiare un gergo televisivo di maniera, ridicolo e impossibile. Lo dico da milanese. Quando si tratta di romanesco tutto fila perfettamente, quando c'è di mezzo il milanese, dialetto e cadenza, le produzioni non riescono mai a sciogliere il nodo. Ma la serie ne risente appena. Del resto la fiction è la casa delle licenze. Da cinefilo ne ho colta una che sarebbe clamorosa ma è persino simpatica: la fidanzata di Mario, abbandonata sui due piedi, va al cinema da sola. Il suo compagno è chiamato a interrogare Rina Fort, siamo nel 1946 e la ragazza si infila in una sala dove fanno La notte, di Antonioni, del ... 1960. L'ho detto, licenza simpatica e niente di compromesso, naturalmente.

Personale
Dicevo della ragione personale di mio padre Dante. Possedeva una gioielleria in Corso di Porta Ticinese. Una volta si vide arrivare il commissario che gli disse di essere informato di una possibile rapina, notturna, nel negozio. Aggiunse che l'informazione poteva essere attendibile, che due volanti avrebbero stazionato in zona pronte a intervenire e che un uomo della squadra avrebbe passato la notte nel retro. Invitò mio padre -sto sempre al suo racconto- a tornare a casa, certo non poteva imporglielo. Il Dante gli disse che il negozio era suo e sarebbe rimasto e poi, aggiunse "ho fatto la guerra, ed ero tiratore scelto." Alla fine non successe niente. Era un falso allarme. Ma qualche giorno dopo mio padre andò in via Poma, sede della caserma di Nardone, con un pacchetto per il commissario. Dentro c'era un Longines d'oro. Il comandante sorrise, strinse la mano a mio padre e gli disse "molto gentile... come se lo avessi accettato, accetterò invece di buon grado un aperitivo quando passerò in Corso Ticinese." A pochi metri dal negozio c'era il Bar Italia, un ritrovo antico. Nardone passò per l'aperitivo. Il bar Italia mostrava su una parete fotografie di visitatori speciali, Benito Lorenzi, Achille Togliani, Tiberio Mitri, Wanda Osiris, Walter Chiari, fra gli altri. E Mario Nardone. Il bar c'è ancora, è diventato un Happy hour, sulle pareti ci sono altre immagini. Ricordando quella notte passata col poliziotto, il Dante diceva "beveva con piacere, e parlava volentieri di donne". Mi piace immaginare che quel poliziotto fosse Rizzo, il bello della squadra.
Nella fiction la ricostruzione è dolce e nostalgica, ci sono le macchine, le Fiat Millecento e Milleotto e la sportiva Alfa Millenove, di una sono riuscito a leggere i primi due numeri della targa MI 22.... E poi quegli impermeabili secondo Bogart o, più modestamente secondo Sheridan. E i borsalini grigi, le insegne e gli aperitivi di allora. E poi l'assenza, benedetta, dei computer e delle telecamere che tutto risolvono. Nardone e i suoi devono camminare, e bussare alle porte. E spulciare della gran carta. Si riuniscono nell'ufficio del capo e ciascuno dice la sua, mettono a fuoco i fatti, i caratteri, i moventi. Detective all'antica, certo. E lì davvero ricordano il gruppo di Maigret. Nardone interroga un colpevole, ormai accertato, magari una donna, e sempre prevale l'indulgenza e la comprensione. Odia gli sfruttatori, i magnaccia, quelli sì. Non gli dispiace frequentare i locali, dove non accetta mai di non pagare. Si vale di un'informatrice credibile, l'attrice è Anna Safroncik, bella e inquietante, un elemento in più, di sicuro successo delle fiction, basti pensare alla Aurora delle Tre rose di Eva. Gli autori hanno depennato l'appuntato scemo che c'è in tutte le fiction poliziesche, quello che arriva con la pastasciutta e porta via dieci minuti inutili della puntata, non ci sono trans e immigrati a capo dei racket. In quegli anni non c'erano ancora.
Nardone: una storia vera, raccontata con le giuste licenze. Bello.

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