Per dirla alla Eugene O'Neill, Roma si addice al cinema. E grandi firme, per la città eterna. Dopo l'alleniano To Rome with Love, per la verità un'opera di non grande ispirazione, ecco all'orizzonte un film italiano, che sarà firmato da un autore vero, Paolo Sorrentino. Il titolo è La grande bellezza.
Roma è sempre stato un set prezioso, escludendo quella antica, il grande peplum. L'hanno toccata i grandi maestri, da De Sica a Rossellini, a Fellini, naturalmente. E proprio La dolce vita finisce per essere il riferimento del nuovo film di Sorrentino. Ma prima un breve excursus sulla città eterna vista dai maestri stranieri. Anche qui grandi firme, come William Wyler che nel 1953 firmò Vacanze romane, finì nella cinquina dell'Oscar e favorì la statuetta della magnifica principessa Audrey Hepburn. Un'ottima Roma d'annata la propone anche Negulesco col suo Tre soldi nella fontana, un'istantanea patinata della città, con amori contrastati fra ricchi e poveri. La Roma del cinema, molto "americanizzata" la propose anche Minnelli, con Due settimane in un'altra città, con Kirk Douglas. E poi altri film, molti altri. Alla Roma povera di De Sica (Ladri di biciclette) e a quella "occupata" dalla guerra di Rossellini (Roma città aperta) fece seguito, nel 1960 la leggendaria Dolce vita, un film che ridisegnava la vita e la società romana, in decadenza. Fellini dipingeva i quadri della città, la nobiltà stanca, il cinema, la chiesa, la notte, la bella vita, anche quella già un po' stanca di via Veneto. Era comunque un'epoca in ascesa generale. "Oltre Roma" il Paese usciva finalmente dai segni, visibili e non, della guerra e stava affrontando la trasformazione economica che avrebbe prodotto il famoso boom. Nel '72 Fellini si concesse una revisione e un ripasso, con Roma. I tempi certo erano cambiati. La gente della Dolce vita, seppure inquieta, e sconcertata e, come detto, decadente, era comunque, gente con personalità. I romani erano pigri, corrotti, felici o infelici, con personalità. Anche i politici erano secondo quegli aggettivi, ma anche loro, con personalità.

Cifra ironica
Questa premessa per introdurre La grande bellezza. Il titolo naturalmente va ragionato. È chiara la cifra ironica alla Sorrentino, basta una veloce memoria sui suoi film, come Il divo e This must be the place, beffardi e dissacranti. Un'analogia con La dolce vita può essere il ruolo del protagonista. Toni Servillo, sta a Sorrentino come Mastroianni stava a Fellini, in questo caso anche i ruoli sono omologhi. Servillo è un giornalista che racconta Roma. Interessante, e non casuale, può essere intesa l'età: Marcello era un trentenne, Toni è un sessantenne. Una metafora chiara se vogliamo, da leggere come entusiasmo, passione ed energia diverse. Sorrentino sarà certo molto efficace nel rappresentare la Roma di oggi, quella dei politici, che governano come governano, dei salotti con vip senza qualità, degli imprenditori che non "imprendono", in attesa dei regali dello Stato che non è più in condizione di fare regali. L'attitudine autorale di Sorrentino lo porterà certo a disegnare una Roma a propria immagine e somiglianza. Ma è un privilegio degli autori. Anche Fellini tutto riprendeva a propria immagine e somiglianza. Il cast è ricchissimo, grandi nomi italiani, da Sabrina Ferilli, a Carlo Verdone, Isabella Ferrari a Giorgio Pasotti. Ha girato anche la voce di una partecipazione di Angelina Jolie, nel ruolo di se stessa. Solo una voce. Un ... tocco di promozione. La Jolie, dopo aver visitato Venezia in The Tourist, diserterà Roma. Probabilmente si sentiva a suo agio con Johnny Depp piuttosto che con Toni Servillo.
L'auspicio è che il regista, certo dotato, usi il suo talento al servizio di un racconto forte sul piano della sostanza, la fase estetica ha già dimostrato di possederla.