Tra The Truman Show e The Way Back, il regista delle grandi sfide.
di Mauro Gervasini
Definire Peter Weir (Sydney, 21 agosto 1944) il regista delle sfide è riduttivo. Anche se al centro del suo cinema ci sono spesso personaggi che per obbligo o per scelta devono affrontare prove immani e odissee soprattutto fisiche. In realtà l'autore di film memorabili come Picnic ad Hanging Rock o Gli anni spezzati, almeno da quando si è trasferito a Hollywood, dove venne chiamato per realizzare Witness – Il testimone a metà degli anni 80, si è dimostrato anche un valido professionista della mise en scène, capace di mettere il proprio stile asciutto e narrativamente funzionale al servizio di progetti non suoi. Il caso più emblematico è The Truman Show (1998) che doveva girare lo sceneggiatore Andrew Niccol, vero "creatore" del film, all'ultimo momento sostituito dal collega australiano con maggiore esperienza sul campo. Questa versatilità diciamo così artigianale rende Weir più simpatico, e in termini artistici si traduce nella capacità di adeguarsi alle storie senza velleità o spocchia.
Se poi un auteur alla francese si misura sulla ricorrenza dei temi allora Peter Weir, nonostante una certa neutralità di scrittura (non è né un virtuoso né un barocco della macchina da presa: classicheggia casomai) non vi sono dubbi che lo sia. La sfida fondamentale di tutto il suo cinema è quella riducibile alla formula Cultura contro Natura. Il rapporto dialettico alla base della grande avventura: da qui film e storie sempre coinvolgenti, misteriose, emozionanti. A volte la ragione, imbrigliata dalle istituzioni umane rese ottuse dagli schemi, ha bisogno di sposare un'anima selvaggia per potersi librare potente: è il tema di L'attimo fuggente (1989), uno dei titoli più amati del regista australiano. Altre volte l'ingegno degli uomini è chiamato a misurarsi con gli ostacoli insormontabili dell'ambiente, che non è ostile in sé ma indifferente (alla Malick) alla piccolezza degli uomini, e per questo pericoloso. Questo il cuore dell'ultimo film The Way Back, nelle sale dal 6 luglio, storia di otto uomini fuggiti da un gulag in piena Siberia che cercano di raggiungere l'India e la salvezza attraverso la tundra e il deserto dei Gobi. Ma è anche tema centrale di Mosquito Coast (1986, scritto da Paul Schrader) dove a muovere verso l'avventura e "contro" l'inestricabilità della natura è l'utopia di un uomo, Harrison Ford, che vuole costruire una sua città del sole in un selvaggio angolo dell'Honduras. Il rapporto inquietante con una Natura indecifrabile e misteriosa agli occhi colti degli uomini è poi il cuore pulsante di quello che rimane il capolavoro del regista, Picnic ad Hanging Rock (1975), cronaca della sparizione di un gruppo di giovani studentesse sull'altopiano roccioso di Hanging Rock, in Australia. Una scomparsa senza motivo. La storia è ambientata nel 1900, sullo sfondo un'istituzione scolastica, un college vittoriano ingabbiato nelle convenzioni didattiche e sociali, incapace di scorgere i limiti della razionalità di fronte a fenomeni insondabili che nulla hanno di mistico (argomento di un altro titolo di Weir piuttosto bistrattato, Fearless – Senza paura, interpretato da Jeff Bridges nel 1993). Non sfugge a questo conflitto il sentimento umano meno imbrigliabile di tutti: l'amore. Esemplare in questo senso Green Card – Matrimonio di convenienza (1990), un autentico gioiello di commedia dove Andie MacDowell, orticultrice con la mania delle serre e delle composizioni botaniche, viene sopraffatta dalla passione animalesca dello straniero Gérard Depardieu, uno che mangia e ama con la stessa incontenibile voracità.